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sabato 25 giugno 2011

La prima reflex 35 mm

Oskar Barnack è stato un tedesco ingegnere ottico , di precisione meccanica , è il padre del formato 35 millimetri in fotografia . Nel 1911, è stato responsabile della ricerca microscopio per Ernst Leitz a Wetzlar . Era un appassionato fotografo, ma l'attrezzatura pesante era per lui difficile da gestire. Nel 1912, ha costruito una macchina 35mm film. Tra il 1913 e il 1914 è stato responsabile dello sviluppo della telecamera società Leitz a Wetzlar , Assia , Germania . Nel 1916 Oscar Barnack terminò di progettare il primo prototipo della Leica ma, a causa della IIª guerra mondiale, solo nel 1923 la Leitz iniziò la fabricazione del modello finale che apparve sul mercato nel 1925. La storia ufficiale racconta che Barnack pensò di costruire una semplice macchina fotografica per determinare l'esatta sensibilità della pellicola cinematografica, dato che al tempo non c'era altro mezzo che sviluppare uno spezzone di pellicola esposta. Barnack usò il prototipo per molti anni, la qualità era decisamente buona e "la macchina di Barnack" fu apprezzata anche da Leitz. Ma Barnack ha cercato di ridurre le dimensioni e il peso delle macchine fotografiche ed attrezzature di sostegno utilizzatae per la fotografia all'aperto. Il suo design 35 millimetri contribuì ad introdurre il concetto di esporre una piccola area di pellicola per creare un negativo, poi allargando l'immagine in una camera oscura . L'inizio della prima guerra mondiale non ha permesso che la prima Leica venisse fabbricata, fino al 1924, e non è stato presentato al pubblico fino al 1925, quando il capo di Leica, l' ottico Ernst Leitz, ha autorizzato la produzione di 1.000 telecamere, e nel 1925, in occasione della Frühjahrsmesse, la Fiera di Primavera di Lipsia, viene presentato il primo apparecchio per riprese fotografiche realizzato dalla Leitz. Leica stava per Lei tz Ca mera. Al posto delle lastre di esposizione utilizzato in passato telecamere Leitz, Leica usata una striscia standardizzato film, adattato da 35 millimetri Edison roll-film, per riprese cinematografiche inserendola in un caricatore, per creare una nuova tipologia di macchine fotografiche, formato in seguito modificato dalla Kodak in funzione della produzione industriale e codificato nel 1934 come "135". L'apparecchio è la prìma Leica, modello 1, che fece la sua apparizione nel 1925, la prima versione regolarmente prodotta della Leica è facilmente riconoscibile dal caratteristico blocco all'infinito dell'obiettivo. L'ottica, fissa, può essere Anastigmat, Elmax o Elmar f 3,5 o un luminoso Hektor f 2,5. L'otturatore in stoffa sul piano focale è autocoprente durante il riarmo, dispone del blocco contro le doppie esposizioni e dei tempi da 1/20 a 1/500 oltre alla posa Z. Tuttavia sul primato della prima reflex sembra ci sia una polemica, perchè documenti sovietici anticipano ogni fonte tedesca. Il primato tedesco è stato sostenuto a lungo anche a causa della scarsità di informazioni disponibili dalla Russia nei lunghi anni della Guerra Fredda, durante i quali della Cnopm si conosceva a malapena l'esistenza. Del resto la vita della Cnopm fu di breve durata perchè la fabbrica fu prima riconvertita e poi distrutta nel corso della guerra. Non ci sono informazioni sul numero di fotocamere costruite né sul numero di quelle effettivamente giunte sul mercato, né, tantomeno, sul numero di quelle sopravvissute. Certamente la Cnopm non è mai giunta sui mercati occidentali prima della guerra, ed in seguito è rimasta un oggetto rarissimo e sconosciuto fino a quando la caduta del muro di Berlino, ha permesso una reale apertura delle frontiere

Teorie sul meccanismo della visione

LA TEORIA DELLE SCORZE Per la filosofia antica il senso della vista, come gli altri sensi, era fondato sul contatto che genera modificazione ed in tal senso Leucippo di Mileto ne era un significativo sostenitore, e nell'atomismo di Leucippo filosofo la Materia Fisica è costituita da elementi microscopici, indivisibili e impercettibili, qualificati da forma, disposizione e posizione, contenuti nello spazio infinito, considerato vuoto. Infatti egli riteneva che ogni percezione è tattile e che i nostri sensi non sono altro che varietà di tatto; non potendo la nostra psiche uscire dal corpo per toccare i corpi esterni, saranno questi stessi o le loro emissioni a muoversi verso di essa. Ogni sensazione presupponeva quindi un contatto di un qualcosa con l'organo di senso, si era ben lontani dal considerare azioni a distanza. Il problema risiedeva nel trovare un adeguato meccanismo di contatto per la vista. A tale proposito si osservava che, a differenza degli altri sensi in cui ogni percezione è singola, nella visione, nello stesso istante, si vede una miriade di corpi e colori con sorprendente dovizia di dettagli ed altrettanta precisione. Quindi “qualunque cosa vada dall’oggetto osservato all'osservatore, essa non può essere informe, ma deve portare con sé la forma ed il colore dell'oggetto, deve cioè essere simile all'oggetto, ma non l'oggetto stesso”. Fu ipotizzata allora l'esistenza delle scorze, specie di ombre che rivestono i corpi, le quali, staccandosi dai corpi, raggiungevano l’occhio, portando con sé ciò che la superficie dei corpi presentava all'occhio. Questa teoria aveva un vizio di fondo: l’impossibilità delle scorze dei corpi grandi di penetrare nella piccola pupilla, vizio che si cercò di risolvere, attribuendo alle scorze la proprietà di contrarsi man mano mentre si avvicinavano all'occhio, fino a diventare così piccole da entrare nella pupilla. Ci si chiedeva inoltre come l'occhio posto in posizioni diverse potesse vedere lo stesso oggetto: ciò implicava che le scorze partenti da una stessa posizione erano costrette a contrarsi in modo diverso a seconda dell’angolazione e della distanza dall'occhio. Altri problemi nascevano quando si considerava la distanza e le dimensioni del corpo emettitore delle scorze; infatti esse potevano anche fornire all’organo senziente (e quindi al cervello) informazioni circa il colore e la forma, ma non si spiegava in che maniera venivano trasmesse informazioni circa la distanza dell'oggetto e le sue dimensioni. Ancora più difficile era la spiegazione per quanto concerne la visione per mezzo di uno specchio. Qui ciò che si vedeva non era l’oggetto, ma la sua figura al di là, simmetrica dell'oggetto stesso. Anche se si fosse spiegato il fenomeno con le leggi della riflessione meccanica delle scorze, non si riusciva a spiegare come queste potessero assumere sembianze simmetriche rispetto al corpo che le aveva generate. Altre difficoltà nascevano quando si doveva spiegare perché il buio impediva la visione (e quindi l'emissione di scorze) o perché un corpo troppo vicino all'occhio appariva confuso. LA TEORIA DEI RAGGI VISUALI Non meno fantasiosa fu la teoria che vedeva come artefici della visione i cosiddetti raggi visuali. I suoi sostenitori erano molto numerosi con al seguito valenti e noti matematici. Questa teoria traeva spunto dalla constatazione che un cieco può rendersi conto della forma di un corpo anche senza toccarlo con le mani, ma semplicemente sondandolo con un bastone. E’ così che si teorizzò l’ipotesi che dall’occhio uscissero dei raggi simili a bastoni capaci di scrutare il mondo esterno e di fornire alla psiche gli elementi per il discernimento di forma e colore. Anche questa teoria si rivelò piena di difficoltà. Infatti non si riusciva a spiegare perché i raggi visuali non consentissero la visione al buio o la visione dei corpi molto vicini all'occhio, e perché, quando si riflettevano su uno specchio piano, facevano vedere le figure al di là dello specchio e non nella loro reale posizione. Inoltre ci si chiedeva come dei raggi emessi da un occhio potessero raggiungere corpi lontanissimi come quelli celesti.

venerdì 24 giugno 2011

Il meccanismo della visione

La fisica antica era tutta centrata sullo studio dell'uomo come essere senziente, era ciò che il linguaggio moderno omologherebbe come fisiologia dei sensi. Il problema chiave della filosofia greco-romana era spiegare come l’uomo venisse a conoscenza del mondo esterno. Si giunse così all’esistenza dei sensi, organi periferici, collegati tramite i nervi ad un organo centrale, il cervello, sede dell’anima o psiche, termine che nasce nell'antica poesia greca e Omero la vede come qualcosa che caratterizza ogni singolo individuo e che abbandona il corpo La conclusione degli antichi filosofi era la seguente: i segnali pervenuti ai sensi e inviati alla psiche per mezzo dei nervi sono elaborati e vengono rappresentati in modo caratteristico. Per esempio, se essi pervengono alle orecchie, sono suoni, se pervengono agli occhi, sono immagini. In altri termini, a quel tempo c’era la convinzione che il suono, il caldo, il freddo, la luce ed il colore, come pure il sapore e l’odore, fossero entità create dalla psiche per rappresentare i segnali del mondo esterno. I filosofi studiarono il comportamento di ciascun senso, ossia cercarono di dare una spiegazione del modo in cui ciascun senso riusciva a trasmettere al cervello le sensazioni, permettendo così di conoscere le proprietà dei corpi esterni. E' interessante notare come, nel caso del tatto, era il semplice contatto fra organo senziente e corpo esterno il responsabile della relativa sensazione; così, per il gusto, il sapore era frutto del contatto che avveniva all’interno della bocca, dove erano preposti gli organi per dare la conseguente sensazione. A differenza di questi due sensi, per l’odorato non vi era il diretto contatto, ma si pensava che degli effluvi, staccandosi dai corpi sotto forma di vapori, andassero a stimolare il naso, sede dell’organo deputato all’olfatto. Impedendo, infatti, il flusso delle esalazioni, anche la sensazione cessava. Per spiegare la sensazione dell’udito, ci si affidava a vibrazioni meccaniche mute che si propagavano dal corpo vibrante attraverso l’aria circostante fino a giungere alle orecchie e quindi alla psiche, che elaborava gli urti ad essa pervenuti come suono. Quando si cercò di studiare il funzionamento della visione non pochi furono i problemi che emersero. Una cosa era fuori dubbio: la luce, ciò che ci permette di vedere quando non è buio, aveva carattere prettamente soggettivo, era una rappresentazione della psiche e veniva designata con il termine latino lux. L’ottica antica era decisamente un’ottica non obiettiva, non fisica, poiché si pensava che tutto ciò che si vede è un complesso di figure create dalla psiche con carattere soggettivo, che quindi poteva variare da persona a persona. A riprova di ciò si consideravano le illusioni ottiche. Le più diffuse teorie sul meccanismo della visione erano: · La teoria delle scorze · La teoria dei raggi visuali.

giovedì 23 giugno 2011

Dissertazione sulla fotografia

Già il filosofo Aristotele osservò che la luce, passando attraverso un piccolo foro, proiettava un'immagine circolare. Lo studioso arabo Alhazen Ibn Al-Haitham, è considerato l'iniziatore dell'ottica moderna, giunse (prima del 1039) alle stesse conclusioni, definendo la scatola nella quale le immagini si riproducevano con il termine camera obscura. Merito di Alhazen fu anche quello di aver modificato la teoria delle scorze con quella delle scorzettine cioè delle piccole scorze emesse in tutte le direzioni da ciascun elemento di cui si compone un corpo comunque grande, scorze talmente piccole che, per entrare nell' occhio, non necessitano di alcuna contrazione lungo il loro percorso. Per la prima volta nella storia dell' ottica, viene introdotta la scomposizione dell' oggetto osservato in parti elementari, ciascuna delle quali emette in tutte le direzioni. Ma le traduzioni (fra le quali rilevano gli Elementi di Euclide un matematico greco antico, che visse molto probabilmente durante il regno di Tolomeo I e l'Almagesto di Tolomeo, che è l'importante opera astronomica scritta intorno al 150 da Claudio Tolomeo che per più di mille anni costituì la base delle conoscenze astronomiche nel mondo islamico e in Europa, lo introdussero anche alla speculazione personale su molte delle materie analizzate, risultando in approfondimenti e riformulazioni che sarebbero rimaste per molti secoli di importanza capitale. La parte più rilevante dei suoi studi è raccolta in 25 saggi di matematica ed in 45 ricerche di fisica e metafisica, oltre alla sua autobiografia del 1027. Fu soprattutto nell'ottica che le sue ricerche produssero risultati d'eccezione. Studiando l'ottica euclidea, enunciò teorie sulla prospettiva, della quale focalizzò il suo interesse sui tre punti fondamentali, il punto di vista, cioè la parte visibile dell'oggetto che incarna da un lato la “logica” secondo cui è costruita l’immagine e l'illuminazione, riformulando i modelli geometrici che ne descrivevano le relazioni. Nel 1515 Leonardo da Vinci utilizzò la camera oscura, o camera ottica che è un dispositivo ottico la cui invenzione è alla base di tutta la tecnica fotografica, per dimostrare che le immagini hanno natura puntiforme, si propagano in modo rettilineo e vengono invertite nell'ingresso della camera oscura dal foro stenopeico camera oscura leonardiana. A Gerolamo Cardano fu da attribuirsi, nel 1550, l'utilizzo di una lente convessa per aumentare la luminosità dell'immagine, mentre il veneziano Daniele Barbaro, con importanti studi sulla prospettiva e sulle applicazioni della camera oscura, utilizzò un diaframma, per migliorare la resa dell'immagine e nel 1568, utilizzò una sorta di diaframma di diametro inferiore a quello della lente per ridurre le aberrazioni, di un sistema ottico che consitono tra la differenza dell'immagine effettiva, reale, formata dal sistema e l'immagine che si voleva ottenere, immagine che di solito è bidimensionale e consiste in una proiezione geometrica della scena reale sul piano focale, definito come quel piano perpendicolare all'asse ottico al quale appartiene il fuoco. Tutto questo ci ha portato alla costruzione della fotocamera che è costituita da due parti fondamentali: un corpo, con un'apertura ad un'estremità per permettere alla luce di entrare la camera oscura, ed una superficie di registrazione per catturare l'immagine luminosa all'altra estremità, nella maggioranza dei casi si aggiunge la parte diottrica (lenti) o catadiottrica (specchi), che va a costituire l'obiettivo fotografico. La fotocamera in senso stretto, quella più nota e diffusa, lavora con la porzione dello spettro elettromagnetico visibile o luce. Ma è solo nel 1840 l'introduzione da parte di Joseph Petzval per conto della Voigtländer di un obiettivo di luminosità f/3.6, tra le prime realizzazioni gli obiettivi di tipo Petzval, a altri destinati a diventare famosi, come ad esempio il Collinear e l'Heliar. Nel 1840 costruì la prima lente per macchine fotografiche, mentre nel 1841 venne messo a punto il primo dagherrotipo interamente in metallo