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martedì 12 luglio 2011

Obiettivi fotografici e linee per mm

Le linee/mm servono a cosa servono ? ci aiutano a riconoscere un obiettivo buono da uno meno buono ? Le curve della risolvenza di un obiettivo, servono solo per dare un'idea di quante informazioni potenziali, possono essere registrate dal sensore o daslla pellicola e soprattutto per vedere se l’immagine dal centro ai bordi e per l’apertura di tutti i diaframmi, rispondono con uniformità. Dal momento che tutte le lenti presentano una determinata quantità di aberrazione sferica e astigmatismo, i raggi non possono convergere perfettamente da un punto del soggetto per formare un punto dell'immagine reale. Le immagini si formano da un insieme di punti che occupano una determinata area. Dal momento che le immagini diventano meno nitide man mano che la dimensione dei punti aumenta, i punti vengono chiamati circoli di confusione. Pertanto, per indicare la qualità delle lenti si utilizza il parametro del punto più piccolo che le lenti riescono a formare, ovvero il circolo di confusione minimo. La dimensione massima ammessa per il punto in un'immagine è chiamata circolo di confusione ammissibile. A questo punto, sorge spontanea la domanda su come si è arrivati a calcolare il circolo di confusione. Una persona, osservando un foglio bianco da circa 20-25 cm. di distanza è in grado di distinguere due punti disegnati sul foglio che distino tra loro 1/16 di mm; 1/16 di mm. è il potere risolvente del nostro occhio, al di sotto di 1/16 questi punti non vengono più percepiti come distinti ma diventano una sola macchiolina sfuocata, un circolo di confusione appunto che si traduce nella distanza minima che permette di percepire due punti come distinti. Dato che è proprio la nitidezza che ci interessa, per riuscire a distinguere dettagliatamente gli oggetti, si può già immaginare come il circolo di confusione sia anche direttamente implicato nella determinazione della profondità di campo. Quando è stata affrontata l’annosa questione, ci si rese conto che 1/16 di mm (16 linee per mm) era un parametro per lo più teorico e si decise così che anche 1/6 di mm (0,1667 mm) poteva andare bene. Infatti 1/16 si ottiene sotto le migliori condizioni: luce perfetta, punti estremamente contrastati ed un osservatore con buone capacità visive. Succede che la luce non è ideale e che noi siamo più o meno affetti da disturbi visivi. All'alba della stampa fotografica formato famiglia, il formato più in uso, richiedeva stampe di piccole dimensioni, circa 5 volte le dimensioni del negativo 35 mm e perchè un ingrandimento di questo tipo risulti nitido il circolo di confusione diventa 0,1667/5=0,0333 mm. Questo valore è stato il parametro utilizzato da molti produttori di lenti per testare i propri obiettivi, viene espresso anche in linee pari per millimetro: 1/0,0333= 30 lp/mm; guarda caso, 30 lp/mm è anche il massimo valore risolvente richiesto ad una stampa fotografica e così si è assunto questo valore come standard. La risoluzione si misura in linee per millimetro (L/mm) o coppie di linee per millimetro (LP/mm). Attenti sono due cose diverse. Gli ingegneri, parlano di linee per millimetro, visto che per avere una linea nera ne occorre anche una bianca. I fotografi, parlano di coppie di linee per millimetro. 30 L/mm per un ingegnere significano 30 coppie di linee perché, come detto, ogni linea nera ne deve avere una corrispondente bianca, però la risoluzione non è un assoluto scientifico ma è totalmente soggettiva e variabile da individuo a individuo. Fra le innumerevoli caratteristiche che deve possedere un obiettivo, la nitidezza è di gran lunga quella più analizzata. Ma i concetti legati alla nitidezza, quando leggiamo un test su un obiettivo, in modo da distinguere quali tra due o più performante, di questi quali sono i parametri realmente importanti per i nostri scopi, molto dopo scopriamo, con la pratica, che in qualche caso forse è meglio chiedere di meno sul fronte della nitidezza a vantaggio di quello di una resa cromatica più calda, vedi il ritratto, anziché più incisivo e neutro per un panorama, cambiando la marca degli obiettivi si cambia anche la resa cromatica. Precisiamo che per nitidezza di un'immagine si intende un insieme di parametri che dipendono sia dalla qualità delle ottiche, che dal sensore utilizzato. Ritornando alle serie ripetute di linee vengono create parallelamente e perpendicolarmente, alla diagonale del fotogramma 35mm, le linee parallele vengono chiamate linee sagittali (S nei grafici MTF Canon); Le linee perpendicolari vengono chiamate linee meridionali (M). La maggior parte degli obiettivi è in grado di riprodurre in modo più nitido i particolari al centro del fotogramma rispetto a quelli che si trovano vicino ai bordi. I grafici MTF visualizzano le prestazioni degli obiettivi dal centro dell'obiettivo verso l'angolo. In un grafico MTF, le linee continue indicano le prestazioni delle linee sagittali (parallele alla diagonale della pellicola); le linee tratteggiate indicano le prestazioni delle linee meridionali (perpendicolari alla diagonale). Pertanto, solitamente un grafico MTF mostra linee che tendono a curvare verso il basso man mano che si procede verso destra. La curva indica le prestazioni dell'obiettivo dal centro agli angoli dell'inquadratura. Ricordiamoci che più in alto ci si trova nel diagramma e migliore è il contrasto. Teniamo anche a mente che spostandoci verso la destra del diagramma, andiamo verso il bordo del fotogramma, differenziando così il comportamento al centro ed ai bordi dell'ottica. I diagrammi MTF non ci parlano però della vignettatura, delle distorsioni lineari, della resistenza al flare. Un diagramma MTF ci può aiutare a capire come si comporta il vetro. I parametri che caratterizzano la nitidezza di un'immagine e di conseguenza dell'ottica, sono sostanzialmente due : 1. La Risoluzione o Risolvenza 2. L'acutanza o micro-contrasto entrambi giocano un ruolo importante nel formare la sensazione di nitidezza dell'immagine. Sebbene la risolvenza e il micro-contrasto sono parametri in una certa misura indipendenti, essi sono legati dal fatto che limitazioni alla risoluzione e perdite di contrasto nelle immagini sono effetti causati dagli stessi fenomeni quali, le aberrazioni dell'ottica e la diffrazione, che impediscono la focalizzazione perfetta sul piano del sensore dei raggi di luce provenienti dal soggetto. La Risoluzione o Risolvenza è stato il primo parametro ad essere definito in modo più o meno sistematico, nel modo seguente:la risoluzione di un'ottica è tanto più elevata tanto più questa è capace di produrre immagini nelle quali è possibile distinguere particolari di dimensioni minori. La misura della risolvenza è semplicemente data dal numero massimo di coppie di linee che si possono risolvere per ogni millimetro di immagine sul sensore (linee/mm). Si presentano due problemi. Il primo è stato già preso in considerazione ed è il fatto che l'immagine di norma si costruisce sul sensore il quale a sua volta può ridurre la capacità di risolvenza. Questo problema può essere evitato usando pellicole/sensori digitali con risolvenze maggiori di quelle delle ottiche. L'altro problema è causato dal fatto che la capacità di distinguere la presenza di linee alternate dipende in parte dall'osservatore. Questo aspetto è strettamente collegato poi al fatto che la risolvenza ci dice sostanzialmente quanta informazione può al massimo catturare il sensore, ma, non fornisce nessuna informazione sulla qualità di questa informazione. Un'ottica può ad esempio risolvere 200 linee/mm ma in modo tale che la differenza di toni sia così lieve che chi osserva l'immagine riscontra una differenza tra la linea chiara e quella più scura, appena accentuata . In questo caso la sensazione di nitidezza che l'immagine ci invia è scarsa, anche se il potere risolvente è ottimo. La risolvenza non può dunque essere l'unico parametro che ci permette di capire quanto sia alta la sensazione di nitidezza prodotta da un'immagine e quindi il loro contrasto è altrettanto importante. A questo punto ci viene in aiuto un secondo parametro: l'acutanza, le perdite di risoluzione ma anche contrasto che si osservano nelle immagini con dettagli molto fini sono causate dal fatto che a causa di aberrazioni insite nel sistema ottico oppure della semplice diffrazione della luce, una ipotetica sorgente perfettamente puntiforme produce un'immagine tutt'altro che puntiforme. A causa di questo sparpagliamento del raggio luminoso una struttura "a scalino" nel soggetto verrà registrata sul sensore come una struttura con profili magari ripidi ma "morbidi". Tanto più ripidi saranno i profili tanto maggiore sarà la sensazione di nitidezza prodotta dall'immagine. Profili dolci producono evidentemente una perdita di nitidezza ma di un tipo diverso da quello misurabile mediante il test della risolvenza. La misura precisa della rapidità di cambiamento dei toni di grigio si effettua mediante il test dell'acutanza. Dato un soggetto che presenta un profilo di illuminazione a gradino, si analizza il profilo di salita dell'intensità luminosa nell'immagine. L'acutanza è tanto maggiore tanto minore è la distanza D tra il punto al 10% e quello al 90% dell'intensità massima. Purtroppo, però, la misura della distanza D tra il 10% e il 90% del profilo immagine di una sorgente a gradini e' un'operazione tutt'altro che immediata. In fase di progettazione di un ottica il produttore deciderà se indirizzare la sua ottica, verso una più alta risolvenza, oppure in quella del maggiore contrasto, oppure quella di un buon compromesso tra i due. I test MTF che si trovano sulle riviste o in rete danno indicazioni sull’andamento della nitidezza al variare dell’apertura del diaframma o della posizione delle frange all’interno del campo inquadrato (nitidezza al centro o a i bordi). Per esigenze di praticità e leggibilità dei grafici queste misure sono effettuate ad una frequenza spaziale fissa. Naturalmente la nitidezza è una caratteristica dell’obiettivo, ma è la sua destinazione d’uso che determina la frequenza alla quale effettuare il test. I grafici MTF non includano molti fattori che possano aiutare nella scelta di un obiettivo, quali le dimensioni, il costo, la maneggevolezza, la minima distanza di messa a fuoco, l'apertura relativa massima, la stabilizzazione, forniscono alcune caratteristiche, che possono ritornarci utili, per una scelta, ma sono solo un complemento a quello che noi chiediamo. Queste frequenze che sono solitamente utilizzate per le ottiche sono: • Formato 135 (24x36) (tutte le reflex a formato pieno) frequenza 10,20,40 linee/mm •Formato APS-H (18x28) (serie Canon 1D) 13,26,52 linee/mm • Formato APS-C (Nikon DX, Pentax, Sony,...., 16x24) 15,30,60 linee/mm •Formato APS-C (Canon 15x22.5) 16,32,64 linee/mm • Olympus QuattroTerzi 20,40,80 linee/mm Per il sistema “a formato pieno” 24x36 la misura del trasferimento di contrasto alla frequenza spaziale di 10 linee/mm e’ importante per stimare la resa dell’ottica in termini di contrasto generale oppure se si intende stampare le fotografie nel classico formato 10x15 cm. In altri termini una lente con MTF10 prossimo all’unità produrrà sicuramente immagini con un eccellente contrasto generale ma non sarà necessariamente nitido sulle piccole scale. La frequenza di 20 linee/mm è associata a strutture di dimensioni due volte più piccole delle precedenti, che possono essere notate in stampa solo su formati da 20x30cm in su. Il valore di MTF20 dà quindi informazioni sia sul contrasto generale che sulla nitidezza. Il valore MTF40, di contro, darà informazioni esclusivamente sul contrasto a piccolissime scale, molto prossime alle minime scale risolvibili dai sensori odierni mentre non darà nessuna informazione sul contrasto generale: una lente con un valore MTF40 relativamente elevato avrà ottime doti di risolvenza ma non necessariamente fornirà un contrasto elevato alle scale più grandi. Vediamo ora perchè nei sensori di dimensioni inferiori al 24x36 le frequenze spaziali delle prove devono essere più elevate. Poichè ad esempio nel formato Nikon DX le dimensioni del sensore sono 1.5 volte inferiori a quelle del formato 24x36, l’obiettivo deve lavorare a frequenze spaziali 1.5 volte maggiori. In altre parole mentre per riempire tutto il fotogramma 24x36 sono necessarie 36mm x 10linee/mm=360 linee verticali nel caso di MTF10, per riempire il sensore in formato DX con le stesse 360 linee (quindi avere la stessa immagine catturata) il sensore deve ricevere le righe in una lunghezza 1.5 volte inferiore (24mm) con la conseguente frequenza spaziale di 15 linee/mm. Su canon il fattore di moltiplicazione può essere 1,6 oppure 1,3. Questo spiega per quale motivo di solito obiettivi progettati per i corpi a pellicola o digitali a formato pieno, molto spesso, hanno prestazioni in termini di nitidezza inferiori se montati su reflex digitali con sensori a formato ridotto: in questi casi le lenti sono obbligate a lavorare a frequenze spaziali piu’ elevate e, come abbiamo visto, all’aumentare della frequenza il grado MTF diminuisce (anche sensibilmente).

sabato 9 luglio 2011

Quanti pixel per una buona fotografia ?

La storia di Canon, relativamente allo sviluppo del sensore, cominciò nel 1987, quando ebbe inizio l'impiego del sensore BASIS per i suoi sistemi autofocus. Continuando la ricerca e lo sviluppo in questo campo, Canon nel 2000 presentò la EOS D30, la prima reflex dotata di sensore CMOS per la cattura di immagini a colori. La D30 da 3 megapixel è per Canon la prima reflex digitale, costruita da zero per essere una reflex digitale, la loro esperienze precedenti nel campo delle reflex digitale sono state la, EOS D2000 e EOS D6000 sono stati joint venture con Kodak, corpi con innesti a baionetta sia per Canon che per Nikon, utilizzando con sensori Kodak, queste telecamere sono anche conosciute come i DCS520 e DCS560. Desiderosi di produrre in proprio ed incoraggiati dal successo della fotocamera, alla Canon come la Nikon hanno continuato a sviluppare questa nuova tecnologia. La tecnologia relative al sensore, CMOS, costituisce la base per le più diffuse reflex digitali al mondo. Usando un idoneo processo di miniaturizzazione e componentistica elettronica più efficiente, i progettisti del sensore hanno ridotto le dimensioni delle parti che costituiscono ogni singolo pixel sia lo spazio tra di loro, hanno Incrementato l'area sensibile del fotodiodo, ottenendo un sensore molto più sensibile alla luce e che quindi richiedeva minore amplificazione del segnale. Così, nonostante ogni area-pixel fosse più piccola, proporzionalmente risultò più sensibile. Nel marzo 2002, Canon lanciò la seconda fotocamera EOS dotata del sensore CMOS: EOS D60 da 6,3 Megapixel, dopo una lunghissima scia, con funzioni ergonomiche, pratiche, che ci aiutano durante la nostra creatività. LA RICHIESTA DI UN SENSORE PIÙ AMPIO Entrambe le EOS, D30 e D60, possedevano un sensore APS-C, da 22,7 x 15,1 mm. Ricordiamoci però che le dimensioni della pellicola da 35 mm a pieno formato misura 36mm x 24mm. Una delle ragioni per le quali la Canon si è dedicata nel corso degli anni allo sviluppo di un sensore a pieno formato, è per perseguire il suo miglioramento nella qualità dell’immagine. La qualità dell’immagine offerta da un sensore a pieno formato è superiore perché consente di migliorare la risoluzione e di adottare pixel più grandi.
immagine http://www.rgbphotos.info/2010/08/panasonic-lumix-lx5-e-lx3-confronto-con.html
Con questi modelli che oggi si pongono in una fasci intermedia, da fotoamatore evoluto, inizia la fine della pellicola, inizia l’era delle macchine fotografiche digitali, la pellicola è sostituita da un sensore. Questo sensore altro non è che un chip su cui l’immagine è catturata in analogico e convertita in digitale. Il sensore della fotocamera è diviso in milioni di piccole aree chiamate pixel, ognuna delle quali registra l’informazione di colore relativa a un’area molto piccola. Oggi i sensori raggiungono facilmente risoluzioni di svariati milioni di pixel. In fotografia il numero di pixel si misura in Megapixel/Mp (milioni di pixel). Il numero totale di pixel è calcolabile anche come prodotto della massima risoluzione verticale per la massima risoluzione orizzontale. Ad es. se la macchina riprende 1280x1024 = 1,3 Mp. Per eseguire l’operazione contraria dobbiamo ricordarci che il rapporto standard tra la risoluzione orizzontale e quella verticale è di 1,25:1. Quindi per prima cosa dobbiamo dividere il numero di Mp per 1,25 poi calcolare la radice quadrata (otterremo la misura minore: 1024) infine calcolare l’altra misura moltiplicando nuovamente per 1,25.
Ma quanto conta il numero di Megapixel, a parità di formato del sensore, se non facciamo calcoli potremmo dire che con più Mp le aspettative, nella realtà ci potrebbero deludere soprattutto da chi si aspetta un nettissimo cambiamento. Quindi passando da 2 MP a 5Mp potreste pensare che un oggetto fotografato raddoppi la sua dimensione e può essere stampato ad grandezza doppia. Invece no, perchè linearmente la risoluzione del CCD è aumentata solo della radice quadrata di 5/2 e cioè di 1,6 volte! Ben meno che 2,5 che ci saremmo aspettati . Se per definizione intendiamo l’aumento di dettagli in entrambe le direzioni, i Mp sono effettivamente un parametro utile che misura l’aumento di nitidezza nell’immagine. Ma se ci interessa notare un particolare o stampare la foto più che i Megapixel ci interessa la risoluzione orizzontale (o verticale) e passando da un sensore all’altro quello che conta è la radice quadrata del rapporto tra le dimensioni dei sensori in Mp. Rapporti teorici e Rapporti reali Sensori 1 Mp 2 Mp 3 Mp 5 Mp 10 Mp 14 Mp
1 Mp 1 1 2 1,4 3 1,7 5 2,2 10 3,1 14 3,7
2 Mp 1 1 1,5 1,2 2,5 1,6 5 2,2 7 2,6
3 Mp 1 1 1,7 1,3 3,3 1,8 4,7 2,2
5 Mp 1 1 2 1,4 2,8 1,7
10 Mp 1 1 1,4 1,2
14 Mp 1 1
Come si può osservare i rapporti reali tra risoluzioni orizzontali sono molto deludenti rispetto all’aumento di Megapixel e sono tanto più deludenti in percentuale quanto maggiore è l’aumento dei pixel. In altre parole se l’aumento dovrebbe essere del doppio in realtà è di 1,4 volte. Ma se “dovrebbe” essere di 14 volte è di appena 3,7! Facciamo attenzione perché il numero dei pixel è un parametro che sta ad indicare la risoluzione. E questo dovrebbe essere uno dei fattori che determina la nitidezza dell'immagine, però per valutare la qualità complessiva dell'immagine, oltre ai pixel entrano in gioco le dimensione del sensore, entrano in gioco altri fattori, come la fedeltà cromatica di ogni pixel, la qualità delle ottiche e dei sensori, il software che gestisce le informazioni e questo varia moltissimo, da una casa produttrice ad un altra.
Un altro fattore secondario di una immagine digitale, è il numero di pixel che viene calcolato semplicemente moltiplicando il numero di pixel della base dell'immagine per il numero di pixel dell'altezza. Ad esempio un'immagine di 1,92 Megapixel (equivalenti a 1.920.000 pixel) sono il risultato di un'immagine di 1600x1200 pixel. Il valore indicato è comunque approssimativo in quanto una parte dei pixel, in genere quelli periferici del sensore, servono al processore d'immagine per avere informazioni sul tipo di esposizione, ad esempio sulla luminosità della scena, ricoprendo il ruolo di pixel di servizio. Dunque un sensore può essere dotato di 10,20 megapixel, ma registrare immagini di 10 megapixel . Una cosa forse molti non sanno è che per misurare la dimensione del sensore, i produttori ancora usano le tecniche ereditate dalla produzione di televisori a tubo catodico, quello che è citato è il diametro di un cerchio nel quale si applica la cornice, misurato in pollici. Quando cambiamo la macchina fotografica, con una con più pixel, ma manteniamo le dimensioni del sensore forse non abbiamo fatto grandi passi in avanti, scegliamone una con un sensore più grande, probabilmente miglioriamo la qualità delle nostre stampe, ma non la nostra capacità tecnica..

mercoledì 6 luglio 2011

La bandiera Siciliana

Il capo reciso della Gorgone assume un valore apotropaico dal greco, apotrépein "allontanare" e nell’ iconografia siciliana acquistò questo specifico potere, perché era credenza comune che fosse possibile tenere lontani gli spiriti maligni con l’imitare la maschera mostruosa di uno di loro. Proprio per la loro funzione apotropaica, le maschere gorgoniche vennero usate per decorare i Templi. Il simbolo della Trinacria, diviene una sorta di potente talismano. Con esso la Sicilia vuole esorcizzare il pericolo e terrorizzare quelli che hanno intenzione di conquistarla, saccheggiarla e dominarla. L’isola, si è sempre liberata, cacciando i tiranni, i conquistatori, ma coloro che la hanno conquistata, rapiti dalla sua bellezza hanno lasciato, usi, costumi, l'isola è riuscita ad uscire da tutte quelle le vicissitudini che hanno interessato questa terra. Oggi l’antico simbolo è al centro del vessillo della Regione siciliana, esso è costituito da un drappo bicolore giallorosso, che diagonalmente esprime il giallo della bandiera civica di Palermo ed il rosso della bandiera civica di Corleone, che fu il primo comune siciliano a seguire l’esempio di Palermo nella rivolta antifrancese del Vespro siciliano, scoppiato nella città di Palermo il 30 marzo 1282. Pochi giorni dopo, nell' aprile 1282, venne stipulato il patto di alleanza tra i Palermitani e i Corleonesi, per combattere contro il comune nemico angioino; e nello stesso giorno, con rogito del notaio Benedetto da Palermo, nacque il vessillo dei Siciliani liberi, unendo i colori delle due città». Da allora, questo colore rappresenta l’unione spirituale dei Siciliani, mentre il simbolo della triscele, vuole ricordare che la Trinacria è terra di dei, di bellezze e di rinascita. Le spighe di grano esprimono la fertilità dell'isola, il carattere degli isolani, che come le spighe di grano si curvano al vento, ma una volta passato si risollevano, e dai suoi semi, il territorio non diventa solo oggetto di valutazione e consumo, ma speranza per un futuro migliore.

lunedì 4 luglio 2011

La regola Aurea o Divina Proporzione

Siete annoiati vogliamo abbandonare la fotografia, sogniamo una macchina migliore, siamo così convinti che otterremo immagini migliori.
Un oggetto od un simbolo, sostiene Mircea Eliade, “diventa sacro nella misura in cui incorpora, cioè rivela, una cosa diversa da se. Importa poco che tale diversità sia dovuta alla forma singolare, all’efficacia...”. A questo punto valutiamo, come canone di Unità, una semplice retta A B. All’apparenza essa non è altro che un segno su un foglio di carta o una linea tracciata sul terreno, che di sacro sembra avere ben poco, ma la potremo considerare una vera e propria Ierofania nel momento in cui la divideremo in due tratti, uno più lungo l’altro corto. A_______C___B La definizione di Ierofania, la si potrà adattare a quell’oggetto-simbolo esclusivamente se la divisione della retta verrà fatta seguendo una regola ben precisa: quando, cioè, il tratto più corto (CB) sta al tratto più lungo (AC)come il tratto più lungo (AC) sta al segmento intero (AB). Così si ottiene una sezione aurea. In questo caso, ancora una volta, il pensiero di Mircea Eliade chiarisce il concetto di “Ierofania” affermando che un oggetto-simbolo “... diventa una ierofania soltanto nel momento in cui cessa di esistere un semplice oggetto profano e acquisisce una nuova dimensione: la sacralità” Ne consegue che non tutte le rette, sol perché divise in due tratti, possono assurgere a Ierofania, ma solo quelle in cui i tratti di divisione stanno all’intera retta con un rapporto sempre costante rappresentato dal numero 1,618033: universalmente noto con la lettera greca φ(phi).
Leggiamo il breve excursus, sulla regola aurea e scopriamo che le migliori menti della storia si sono arrovellate ed hanno trovato il motivo perché una composizioni piace mentre un'altra no.

La geometria ha due grandi tesori: uno è il teorema di Pitagora; l'altro è la divisione di un segmento secondo il rapporto medio e estremo. Possiamo paragonare il primo a una certa quantità d'oro e definire il secondo una pietra preziosa. Keplero (1571-1630)
Nella letteratura matematica il simbolo che inizialmente indicava il rapporto aureo era la lettera greca tau , in quanto iniziale del nome greco tomé, che significa taglio o sezione. Fu il matematico americano Mark Barr che introdusse all'inizio del XX secolo l'uso della lettera (phi), dall'iniziale dello scultore greco Fidia vissuto tra il 490 e il 430 a.C. Si reputa infatti che Fidia avesse usato il rapporto aureo per creare le sculture del Partenone e Barr volle rendergli omaggio indicando tale rapporto con φ(phi).
L’opera dell’ingegno umano, quando è integrata dall’equilibrio e dall’armonia, raggiunge la massima espressione del terzo canone universale dopo l’unicità e l’adattabilità, la Bellezza.
La Divina Proportione, come ogni cosa, ha scatenato polemiche tra quanti, molti, sostengono la validità della sezione aurea come indiscutibile principio di bellezza e quelli che, al contrario, sono convinti dell’assoluta casualità o addirittura dell’assenza di questo rapporto nelle opere d’arte, e che essa è forzatamente ricercata con la matematica.
No dico de la dolci e soave armonia musicale ne de la summa vaghezza e intellectual conforto prospectivo: e de la dispositione de architectura con la descriptione de luniverso marittimo et terrestre e doctrina de corsi e celestial aspetti perche di lor quel che hor le ditto chiaro appare. Lascio per men tedio allectore scentie altre assai pratiche especulative con tutte laltre mechaniche in le cose humane necessarie de le quali senza il suo ragio de queste non e possibile lor acquisto: ne dubito ordine in quelle servare. Di Luca Pacioli, De Divina Proportione
Leonardo Pisano, più noto come Fibonacci. Durante la sua infanzia Fibonacci ebbe un maestro mussulmano e viaggiò in Egitto, in Siria e in Grecia; era pertanto naturale che Leonardo si impregnasse di metodi algebrici arabi, compreso il sistema notazionale indo-arabico. Le nove cifre indiane sono: 9 8 7 6 5 4 3 2 1. Con queste nove cifre, e col segno 0... si può scrivere qualunque numero. Con queste parole inizia una delle più celebri opere di Leonardo Fibonacci: il Liber abaci pubblicato nel 1202, all'interno del quale si cela uno dei quesiti che più ispirò i futuri matematici e che curiosamente ha a che fare con i conigli.
La media aurea non è a atto banale Tutt'altra cosa che un comune irrazionale. Capovolta, pensate un po', Resta se stessa meno l'unità. Se poi di uno l'aumentate Quel che otterrete, vi assicuro, è il quadrato. Di Paul S. Bruckman, Media costante, The Fibonacci Quarterly, 1977
Vitruvio nel De Architectura scrive: “Il centro del corpo umano è inoltre per natura l’ombelico; infatti, se si sdraia un uomo sul dorso, mani e piedi allargati, e si punta un compasso sul suo ombelico, si toccherà tangenzialmente, descrivendo un cerchio, l’estremità delle dita delle sue mani e dei suoi piedi”.
Ne L’Uomo, Leonardo studia le proporzioni della sezione aurea secondo i dettami del De Architectura di Vitruvio che obbediscono ai rapporti del numero aureo. Leonardo stabilì che le proporzioni umane sono perfette quando l’ombelico divide l’uomo in modo aureo.
Anche l’architetto svizzero Le Corbusier (1887-1965) con il suo Modulor ha presentato lo schema della figura umana suddivisa in parti proporzionali, ognuna sezione aurea di un’altra. Nel Modulor il rapporto tra l’altezza dell’uomo (183 cm) e la distanza dell’ombelico dal suolo (113 cm) equivale al numero aureo; altri rapporti aurei sono calcolati da Le Corbusier in quest’opera. L’architetto basava tutti i suoi progetti su queste proporzioni per costruire l’abitazione ideale dell’uomo: dai tavoli alle sedie, dalle maniglie delle porte alle finestre, dai palazzi all’urbanistica, tutto doveva rientrare nelle proporzioni armoniose del suo schema.

Dopo queste citazioni, ritorniamo alla composizione di una immagine, che altro non è che la padronanza della tecnica come primo requisito, però può accadere che le fotografie lasciano indifferenti, malgrado siano tecnicamente corrette come nitidezza, esposizione, mancano della divina proporzione. Siamo stati abituati a leggere da sinistra verso destra dall’alto in basso a distinguere le forme fondamentali come il rettangolo, il quadrato, il cerchio e il triangolo, tutto questo ci fa scattare dei meccanismi inconsci, ad esempio: Il rettangolo implica una direzione poiché una delle sue dimensioni è più lunga dell'altra, più è allungato più si accentua quest’effetto. Un rettangolo orizzontale da risalto alle linee e ai piani orizzontali, un rettangolo verticale mette in evidenza l'altezza, la direzione verso l'alto o verso il basso. Il quadrato per la sua simmetria ha un'organizzazione centrale, è forma statica, evoca concetti di stabilità, calma. Il cerchio da un'immagine ancora più centralizzata del quadrato, posto al centro del fotogramma identifica il soggetto principale. Il triangolo convoglia l'attenzione dagli elementi contenuti all'interno del perimetro fino al vertice che determina il centro d'interesse.
immagine: http://www.clickblog.it/galleria/sezione-aurea/8 La composizione risulta "ben riuscita", quando i vertici delle figure nascoste va a coincidere con l'intersezione delle linee, che formano la sezione aurea.
Andreas Feininger nel libro "la fotografia: principi di composizione" scrive: “nel dizionario "comporre" è definito come dare forma combinando insieme. (...) Combinando insieme che cosa? Tutti i fattori che concorrono a creare una fotografia: peculiarità del soggetto fotografato, sfondo e primo piano, contorni e forme, colori o tonalità di grigio e poi la distribuzione delle luci e delle ombre, di nero e di bianco; le dimensioni del soggetto e l'angolo di ripresa, la prospettiva in termini di compressione e dilatazione delle distanze, contrapposizione e sovrapposizione di forme; la disposizione e i rapporti reciproci degli elementi che compongono l'immagine, la posizione dell'orizzonte, il taglio e le proporzioni dell'ingrandimento. in breve: tutti gli elementi della fotografia che, secondo l'uso che ne fa il fotografo, trasmettono il suo messaggio all’osservatore in forma graficamente efficace o inefficace.” Possiamo definire con certezza che la composizione si basa sull'individuazione del punto d'interesse, che è il punto principale dell'immagine, dove lo sguardo dell'osservatore è indotto a soffermarsi, e da li iniziarte l’osservazione dell’immagine rappresentata, non necessariamente deve coincidere con il centro dell'immagine, deve solo essere in armonia con tutte le altre parti che la compongono.
Il senso della vista è controllato dal cervello, che concentra l'attenzione sugli aspetti d’interesse immediato. La fotocamera non pensa e vede oggettivamente: registra in modo imparziale, cogliendo gli aspetti importanti del soggetto, oltre altri elementi che non interessano o addirittura disturbano. L'uomo vede in forma stereoscopica, l'uomo percepisce la profondità, la fotocamera registra in modo piatto e deve essere il fotografo a creare l'illusione della profondità di campo la tridimensionalità, attraverso la percezione della convergenza di linee che in realtà sono parallele, la loro sfocatura, il gioco delle luci e delle ombre, ecc. Le linee di forza di una immagine sono quelle linee immaginarie che guidano lo sguardo di chi osserva la fotografia verso una certa direzione sia per dare l'illusione del movimento, sia per mettere in evidenza il punto d'interesse. Il migliore modo per applicare tutto questo è la sezione aurea, che è stato ed è il canone di bellezza risalente ai pittori e scultori dell'antica Grecia. In fotografia come nelle arti grafiche, si applica per dare proporzioni alla fotografia, per stabilire la posizione del centro d’interesse e per fissare la posizione dell'orizzonte, questo si riflette anche nelle forme geometriche nascoste che vengono riconosciute mentalmente dall'osservatore e rendono più gradevole l'immagine.

Matematicamente si definisce così: Si chiama sezione aurea o parte aurea di un segmento quella parte di esso che è media proporzionale tra l’intero segmento e la parte rimanente. A |________|C___| B Scegliamo come unità di misura della lunghezza il segmento più breve, CB. La lunghezza del segmento maggiore, AC, sarà quindi x volte CB, dove x è un fattore sconosciuto (tranne per il fatto di essere maggiore di 1, visto che AC > CB ). Dire che la nostra linea è divisa secondo la proporzione estrema e media equivale a dire che: x : 1 = x + 1 : x x2 = x + 1 La due soluzioni di questa equazione di secondo grado sono: x1 = 1+radice di5 /2 e x2 = 1- radice di5 /2 La soluzione positiva ci fornisce il valore del rapporto aureo, phi . phi = 1,6180339887 phi elevato 2 = 2,6180339887 1/phi = 0,6180339887 Il rapporto aureo è l'unico numero non naturale il cui reciproco e il cui quadrato mantengono inalterata la propria parte decimale.
Definizione Si chiama rapporto aureo o numero aureo, e si indica con la lettera greca phi , il rapporto tra una grandezza e la sua parte aurea. Secondo molti artisti greci e italiani del Rinascimento, il rettangolo che maggiormente appaga il nostro senso estetico è quello in cui i lati stanno in rapporto aureo . Si chiama rettangolo aureo il rettangolo avente un lato che è sezione aurea dell’altro.
Costruzione con riga e compasso di un rettangolo aureo: - individuiamo il punto medio P del alto AM del quadrato AMND - con centro in P e raggio PN tracciamo un arco di circonferenza che interseca in B il prolungamento del lato AM dalla parte di M. - tracciamo poi la perpendicolare BC ad AB e prolunghiamo il lato DN dalla parte di N Il rettangolo ABCD è il rettangolo aureo, nel quale AB è diviso dal punto M esattamente nella sezione aurea: AM : AB = MB : AM Dimostriamo anche questa proporzionalità. Se ABCD è un rettangolo aureo, si ha, per definizione, AB : AD = AD : (AB-AD) o anche, essendo AM = AD, AB : AM = AM : MB Se sul lato maggiore AB del rettangolo aureo ABCD, esternamente al rettangolo, si costruisce il quadrato AEFB, si ottiene un nuovo rettangolo aureo EFCD. Infatti, per la proprietà del comporre applicata alla prima proporzione (AB+AD) : AB = [AD + (AB-AD)] : AD ovvero, essendo AB = AE, DE : AB = AB : AD DE : AE = AE : AD e resta così dimostrato, essendo AE = EF , che il lato minore EF del nuovo rettangolo EFCD è la parte aurea del lato maggiore DE. Ripetendo più volte tale costruzione, si ottiene una successione di quadrati, ognuno dei quali ha il lato che è sezione aurea del lato del quadrato successivo. Costruendo in ogni quadrato un arco di circonferenza come indicato nella figura, si ottiene una curva detta spirale logaritmica o spirale aurea.