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mercoledì 19 ottobre 2011

Distretti turisitici normativa

Il Dipartimento Turismo, Sport e Spettacolo della Regione Siciliana (Assessorato Regionale del Turismo, Sport e Spettacolo), fornisce assistenza tecnica per la formazione ed il riconoscimento dei distretti turistici, previsti dalla l.r. 15 settembre 2005 nr. 10.
Questa attività viene svolta dai Servizi turistici regionali. Per informazioni, scrivere all'indirizzo di posta elettronica strpalermo@regione.sicilia.it
Di seguito si riporta la normativa regionale che disciplina la materia:LEGGE REGIONALE N. 10 DEL 15-09-2005 - REGIONE SICILIA - 15/09/2005 , n. 10 - Gurs 16/09/2005 , n.39

Distretti turistici 1. Si definiscono distretti turistici i contesti omogenei o integrati comprendenti ambiti territoriali appartenenti anche a pi province e caratterizzati da offerte qualificate di attrazioni turistiche e/o di beni culturali, ambientali, ivi compresi i prodotti tipici dell'agricoltura e/o dell'artigianato locale.
2. I distretti turistici possono essere promossi da enti pubblici, enti territoriali e/o soggetti privati che intendono concorrere allo sviluppo turistico del proprio territorio o di pi territori appartenenti anche a province diverse, attraverso la predisposizione e l'attuazione di specifici progetti.
3. Fermi restando i limiti previsti dalla disciplina comunitaria in materia di aiuti alle imprese, la Regione definisce, con decreto dell'Assessore regionale per il turismo, le comunicazioni ed i trasporti, le modalità e la misura del finanziamento dei distretti turistici che perseguono in particolare le seguenti finalità a) sostenere attività e processi di aggregazione e di integrazione tra le imprese turistiche, anche in forma cooperativa, consortile e di affiliazione; b) attuare interventi necessari alla qualificazione dell'offerta turistica urbana e territoriale delle località ad alta densità di insediamenti turistico-ricettivi; c) istituire punti di informazione e di accoglienza per il turista, anche telematici, secondo specifiche quantitative e qualitative coerenti con standard minimi omogenei per tutto il territorio della Regione determinati dall'Assessorato regionale del turismo, delle comunicazioni e dei trasporti per tutti i distretti turistici riconosciuti; d) sostenere lo sviluppo di marchi di qualità di certificazione ecologica nonchè la riqualificazione delle imprese turistiche con priorità alla standardizzazione dei servizi turistici; e) promuovere il marketing telematico del proprio distretto turistico per l'ottimizzazione della relativa commercializzazione in Italia e all'estero; f) promuovere le strutture ricettive, i servizi e le infrastrutture volte al miglioramento dell'offerta turistica; g) individuare e proporre particolari tipologie di architettura rurale realizzate tra il XII ed il XX secolo, a prescindere da qualsiasi ipotesi di utilizzazione di natura ricettiva, ristorativa e sportivo-ricreativa, secondo quanto previsto dalla legge 24 dicembre 2003 n. 378, al fine della loro tutela e valorizzazione.
L'Assessorato regionale del turismo, delle comunicazioni e dei trasporti, di concerto con l'Assessorato regionale dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione, individua i beni da tutelare al fine della adozione degli eventuali regolamenti di attuazione.
4. I servizi turistici regionali, oltre ai compiti loro attribuiti, svolgono attività di assistenza per la formazione ed il riconoscimento dei distretti turistici.
5. Ai fini del loro riconoscimento, i distretti turistici devono essere così tituiti da soggetti pubblici e privati, i quali devono, altresì specificare la natura giuridica del distretto da loro formato mediante l'invio alla Regione del relativo atto così titutivo.
Riconoscimento e revoca dei distretti turistici:
1. L'Assessore regionale per il turismo, le comunicazioni ed i trasporti, sentito il parere della competente Commissione legislativa dell'Assemblea regionale siciliana, con proprio decreto stabilisce i criteri e le modalità per il riconoscimento dei distretti turistici.
2. Per il riconoscimento i distretti turistici devono indicare i seguenti elementi: a) numero e ubicazione dei soggetti partecipanti con specifico riferimento alla consistenza demografica ed alla estensione territoriale complessiva interessata; b) presenza, nell'ambito del distretto turistico, degli elementi di attrazione turistica e delle emergenze culturali, ambientali e paesaggistiche che caratterizzano il territorio nonchè le sue potenzialità c) partecipazione dei soggetti privati al cofinanziamento dei progetti; d) piano di sviluppo turistico non inferiore a tre anni che contenga una dettagliata ricognizione delle risorse turisticamente rilevanti disponibili nell'area. Al piano di sviluppo turistico deve essere annesso un programma finanziario nel quale risultino specificate le risorse di cui si avvale il distretto turistico.
3. Con il riconoscimento dei distretti turistici l'Assessore regionale per il turismo, le comunicazioni ed i trasporti approva il piano, di cui al comma 2, lettera d), valutando in particolare i seguenti elementi: a) idoneità del piano a promuovere la valorizzazione turistica del territorio; b) caratteristiche, consistenza e idoneità del tessuto imprenditoriale coinvolto direttamente e indirettamente nella produzione dell'offerta turistica; c) adeguatezza delle risorse conferite dai proponenti per la copertura a regime delle spese di funzionamento dei distretti turistici.
4. L'Assessore regionale per il turismo, le comunicazioni ed i trasporti pu revocare il riconoscimento concesso quando, nel periodo previsto, i distretti turistici non abbiano realizzato gli obiettivi indicati nel piano di sviluppo.
5. L'Assessore regionale per il turismo, le comunicazioni ed i trasporti ogni anno, subito dopo l'approvazione del piano triennale, esamina le richieste di riconoscimento di nuovi distretti e, se sussistono i requisiti, li riconosce. REGIONE SICILIANA - Gurs nr. 22 del 20 maggio 2009 LEGGE 14 maggio 2009, n.6 Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2009.

Disposizioni in materia di distretti turistici
1. Sono riconosciuti come distretti turistici anche i territori oggetto di investimenti nel comparto turistico recettivo finanziati da patti territoriali e piani integrati territoriali. Il distretto turistico coincide con i comuni che costituiscono il soggetto responsabile ai sensi del decreto del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica 31 luglio 2000, n. 320.
2. L'Assessore regionale per il turismo, le comunicazioni e i trasporti è autorizzato a concedere ai distretti turistici di cui all'articolo 6 della legge regionale 15 settembre 2005, n. 10, anche strutturati come associazioni temporanee di scopo fra soggetti pubblici e privati, contributi finalizzati alla realizzazione di progetti di valorizzazione e promozione turistica del territorio di riferimento, secondo le modalità previste dalle linee di intervento del PO FESR Sicilia 2007/2013.
3. La percentuale massima del contributo di cui al comma 2 è pari al 50 per cento delle spese di progetto ammissibili.

REGIONE TIENE A BATTESIMO 26 DISTRETTI TURISTICI

REGIONE TIENE A BATTESIMO 26 DISTRETTI TURISTICI
Palermo, 13 ott - Firmato ieri dall'assessore regionale siciliano al Turismo, sport e spettacolo, Daniele Tranchida, il decreto di riconoscimento dei 26 distretti turistici della Regione siciliana. L'annuncio e' stato dato stamattina nel corso della conferenza stampa indetta dallo stesso assessore dal titolo ''Un anno di turismo, sport e spettacolo in Sicilia'' nella Sala dei Giochi Francesi a Villa Igiea. I distretti vengono distinti in due fasce: nella prima fascia sono inseriti quelli considerati a piena maturita', nella seconda i distretti che sono sottoposti a forme e misure di assistenza e accompagnamento. Si possono inoltre distinguere in due categorie: 11 sono a carattere tematico e 15 sono a carattere territoriale.
 Si e' quindi conclusa positivamente la fase di valutazione delle istanze di riconoscimento dei seguenti distretti turistici: Sicilia Occidentale, Il Mare dell'Etna, Golfo di Castellammare, Palermo Costa Normanna, Tirreno-Nebrodi, L'isola dello Sport, Pescaturismo e Cultura del Mare, Taormina Etna, Isole ed Arcipelaghi di Sicilia, Selinunte il Belice e Sciacca Terme, Iblei, Siracusa e Val di Noto, Valle dei Templi, Thyrrenium Tyndaris - Parco dei Miti, Miniere, Vini e Sapori di Sicilia, Borghi marinari, Sud Est, Cefalu' e Parchi delle Madonie e di Himera, Valorizzazione della Venere di Morgantina, Antichi Mestieri, Sapori e Tradizioni Popolari Siciliane, Le terre del mito, Eco Sicily - Parchi, Riserve e Terre dei Normanni, Monti Sicani e Valle dei Platani, Sicilia Centro Meridionale, Targa Florio proposto dall'ACI - Automobile Club Palermo. Il Dirigente Generale dell'assessorato dovra' ora provvedere ad attivare le forme e le misure di assistenza e di accompagnamento previste e richieste dalla Commissione per i Distretti di Selinunte il Belice e Sciacca Terme, Iblei, Siracusa e Val di Noto, Valle dei Templi, Thyrrenium Tyndaris - Parco dei Miti, Miniere, Vini e Sapori di Sicilia, Borghi marinari, Sud Est, Cefalu' e Parchi delle Madonie e di Himera, Valorizzazione della Venere di Morgantina, Antichi Mestieri, Sapori e Tradizioni Popolari Siciliane, Le terre del mito, Eco Sicily - Parchi, Riserve e Terre dei Normanni, Monti Sicani e Valle dei Platani, Sicilia Centro Meridionale, Targa Florio proposto dall'ACI - Automobile Club Palermo, al fine di superare le criticita' riscontrate dalla Commissione e, con riferimento specifico al Distretto Targa Florio, attivando le opportune iniziative volte all'eventuale recupero della progettualita' proposta dalla Provincia Regionale di Palermo, che aveva presentato una proposta similare.
Per il completamento dell'iter di riconoscimento, i Distretti dovranno fare pervenire all'Assessorato Regionale del Turismo, Sport e Spettacolo, entro 45 giorni dalla data di pubblicazione del decreto assessoriale sulla Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana, l'atto costitutivo debitamente sottoscritto ed il regolamento organizzativo che riportino i ruoli, le funzioni, le responsabilita' dei soggetti aderenti, nonche' il Piano di Sviluppo Turistico previsto dall'articolo 7 comma 2 della Legge Regionale 15/09/2005 10

lunedì 10 ottobre 2011

Il sistema zonale

Ansel Adams è uno dei più celebri fotografi di paesaggio, toni di bianco-bianco, nero-nero e grigio-grigio ben distribuiti sulla stampa finale. Ispiratore e teorico di quello che è universalmente noto come Sistema Zonale, che è una tecnica finalizzata alla controllata trascrizione in bianconero della realtà. Meglio di altri fotografi, Ansel Adams ha avuto il merito di comprendere come la fotografia dipenda dai propri connotati tecnici.
Quello fotografico è un esercizio di rappresentazione, le teorie di Ansel Adams sul Sistema Zonale, che è appunto l'insieme delle nozioni utili per un consapevole esercizio della fotografia bianconero. La sua tecnica è raccolta nella serie di tre titoli tecnici pubblicati in Italia dall' editore Zanichelli di Bologna, Il negativo, La stampa e La fotocamera.
Il Sistema Zonale, così come lo ha codificato Ansel Adams, suddivide i grigi potenziali della fotografia bianconero in dieci scalini, ognuno separato da uno stop esatto dai confinanti in salita e discesa, un valore di diaframma, oppure un tempo di otturazione più breve o più lungo.
In termini di pellicola non è che la gamma di densità del negativo che può essere riprodotta integralmente da un carta fotografica, ed i cui estremi sono appena distinguibili dal massimo bianco e dal massimo nero della carta stessa, con il sensore non si arriva a tanto: scattando in raw possiamo contare in media su una gamma dinamica di circa 6 stop, che ci permette di registrare, oltre al massimo bianco ed il massimo nero, una gamma di luminosità. In linea di massima è sufficiente impostare la macchina per il bracketing con sovra- e sottoesposizione di 1 stop . La foto esposta senza correzione servirà come elemento di riferimento, mentre quelle sovra- e sottoesposte verranno miscelate in fase di postproduzione
La definizione secondo la numerazione in cifre romane va da I a X , il nero assoluto è collocato su una ipotetica Zona 0. Fissato in Zona V il grigio medio con riflettenza al 18 per cento, le cifre più basse, individuano i toni più scuri dell'immagine e le cifre più alte quelli più chiari.
Tutti gli esposimetri sono tarati per restituire, indipendentemente dal soggetto fotografato, una riflettenza della luce incidente il soggetto pari al 18% (riflettenza media terrestre). Ciò significa che, leggendo una superficie illuminata di bianco e attribuendo all’immagine una coppia tempo/diaframmi derivante dalla lettura di quella superficie, essa verrà fotograficamente riprodotta come valore di grigio con riflettenza del 18% e non, ad esempio come bianco “puro” (analogo discorso nel caso in cui puntassimo l’esposimetro, senza nessuna correzione, su di una superficie nera.
I vantaggi dell' utilizzo del sistema delle Zone è quelo di acquisire una corretta esposizione ogni volta, anche nelle più difficili situazioni di luce. Sapere se è necessario utilizzare filtri neutri a densità graduata. Sapere esattamente quanto siano ampi gli stop per effettuare il bracketing per poi realizzare la fusione. Individuare le situazioni dove è necessario utilizzare un flash di riempimento per una corretta esposizione.
Nell’ambito della fotografia digitale, lavorando su una immagine digitale che utilizza i canali ROSSO Verde e Blu possiamo ottenere una immagine a tono di grigio sapendo che, per ciascun punto pixel dell’immagine, le “coordinate” ossia dei tre canali sono impostate alle stesso valore e che l’intervallo dei valori, in un’immagine, è pari a 256 valori per ciascun canale, il range di tali valori è compreso fra 0 e 255 corrispondenti, rispettivamente, al nero e al bianco assoluti. Ad esempio, un valore di pixel che abbia le coordinate R=G=B=128 è il valore di un pixel grigio corrispondente ad una percentuale di nero o di bianco, visto che è esattamente a metà scala pari al 50%,mentre, uno che abbia una coordinata 230 rappresenta un pixel molto prossimo al valore del bianco puro. Se una delle coordinate presenta un valore diverso dalle altre due, per quanto poco appaia, quel pixel è da ritenersi cromaticamente inquinato. A titolo di esempio : RGB ( 255 ; 0 ; 0 ) restituisce 16.711.680, che rappresenta il rosso. RGB ( 0 ; 255 ; 0 ) restituisce 65.280, che rappresenta il verde. RGB ( 0 ; 0 ; 255 ) restituisce 255, che rappresenta il blu. RGB ( 0 ; 0 ; 0 ) restituisce 0, che rappresenta il nero. RGB ( 255 ; 255 ; 255 ) restituisce 16.777.215, che rappresenta il bianco.

Divisione della scala tonale, la scala tonale è stata divisa in più parti, dette "zone", che vanno dal bianco puro al nero assoluto, e ciascuna di queste zone rappresenta un determinato tono di grigio. Questa suddivisione della scala continua in più gradini permette un più facile riconoscimento dei valori tonali. Questa suddivisione è meramente teorica, perché nonostante tutto si continuerà a registrare in ogni caso una scala tonale continua. La suddivisione in zone è solo una comodità, che serve, appunto, a renderle più riconoscibili.
Le zone vanno dalla "0" (zero) alla "X" (dieci) e, più esattamente, la zona "0" rappresenta il nero assoluto, la zona "V" il grigio medio Kodak con riflettenza del 18% e la zona "X" il bianco puro. ZONA della SCALA Zona 0 Nero pieno nella stampa , 100% , 0 Zona I Nero non strutturato , 90% , 26 Zona II Nero strutturato 80% , 51 Zona III Tessuto nero in cui siano visibili le pieghe , 70% , 76 Zona IV Ombre nei paesaggi illuminati dal sole e nei ritratti; fogliame scuro , 60% 103 Zona V Grigio medio: cartoncino grigio neutro al 18% , 50% , 128 Zona VI Toni della pelle bianca media; ombre sulla neve illuminata dal sole , 40% , 152 Zona VII Pelle chiarissima; neve in luce radente , 30% , 178 Zona VIII Toni chiari ancora differenziati , 20% , 205 Zona IX Bianco non strutturato. 10% , 230 Zona X Bianco assoluto: base della carta fotografica , 0% , 255
Opzioni Curve di photoshop : A. Per impostare il punto nero, prelevate un campione nell’immagine. B. Per impostare il punto grigio, prelevate un campione nell’immagine. C. Per impostare il punto bianco, prelevate un campione nell’immagine. D. Agire sui punti per modificare la curva E. Disegnare per modificare la curva F. Menu a comparsa dei tipi di curva G. Imposta punto nero H. Imposta punto grigio I. Imposta punto bianco J. Mostra ritaglio La scala tonale suddivisa in "zone" È importantissimo ricordare che fra una zona e la sua adiacente vi è solo uno stop di differenza. Questo significa che tra una zona "V" e una zona "VI" vi è un diaframma di distanza che sarà più aperto, se andiamo dalla "V" alla "IV" sarà più chiuso; infatti la zona "VI" è più chiara della "V" in quanto è più vicina alla "X", il bianco puro, e sappiamo bene che per schiarire un'immagine bisogna aprire il diaframma e/o variarne il tempo di apertura.
Si tratta di una tecnica ovviamente nata per la pellicola, ma applicabile anche per la fotografia digitale, se vogliamo eseguire delle prove.

sabato 6 agosto 2011

L’esposizione come Intensità della luce o E.V. in fotografia

L’esposizione come Intensità della luce o E.V. in fotografia la luce può essere misurata in molti modi (watt, candele, lumen, lux), ma in fotografia, l'unità più conosciuta sono gli E.V. E.V. è la sigla delle parole inglesi Esposition Value (Valore d'esposizione) ed hanno la caratteristica di permettere l'immediata conversione in una coppia di valori diaframma/tempo. Maggiore è il numero degli E.V. e maggiore è l'intensità luminosa che raggiunge il sensore.
Gli E.V. sono calcolati in modo tale che quando la luce varia di un E.V. per compensare basta spostarsi di un tempo (o di un diaframma). Per essere più espliciti se la luce aumenta di un E.V. significa che per far giungere la corretta intensità luminosa al sensore basta chiudere un diaframma, oppure di un tempo; viceversa se la luce cala di un E.V. basta aprire di un diaframma oppure scendere o salire di un tempo.
Occorre ricordare che il tempo ed il diaframma non cambiano solo in base all'intensità della luce ma anche in base alla sensibilità impostata sulla macchina. Ne deriva che la conversione tra E.V. e la coppia di valori tempo/diaframma viene riferita solo ad una data sensibilità. Normalmente si fa riferimento ad una sensibilità di 100 ISO, ASA ed un raddoppio o ad una diminuzione si aumenta o dimezza la sensibilità, i DIN hanno un andamento logaritimico e ad un aumento o diminuzione di tre valori corrisponde una variazione di uno stop di sensibilità.
Lo standard ISO 5800:1987 che definisce due scale una lineare e una logaritmica per misurare la velocità delle pellicole. La scala lineare corrisponde alla scala ASA oggi non più usata, mentre la seconda corrisponde alla scala DIN, anch'essa non più usata. Precedentemente le pellicole lente tendevano ad avere una grana più fine.
Una grana evidente può avere una valenza artistica, ma i fotografi preferiscono foto a grana fine, il che li porta a prediligere pellicole lente. Naturalmente, ad una pellicola lenta con esposizione lunghe corrispondono anche maggiori rischi di mosso o micromosso. Nei sistemi fotografici digitali utilizziamo gli ISO ed è possibile variare il guadagno elettronico del sensore al fine di avere un diverso rapporto fra l'esposizione alla luce e la luminosità definitiva dell'immagine risultante. Questo guadagno non è direttamente proporzionale alla sensibilità del sensore, il calcolo è più complicato. Su una fotocamera, comunque, impostare una sensibilità ISO e l'esposizione di conseguenza, sia automaticamente che manualmente con l'aiuto di un esposimetro, farà risultare una foto correttamente esposta come le fotocamere a pellicola.
Nel mondo della fotografia digitale è stato definito lo standard ISO 12232:2006, che disciplina le sensibilità del sensore. Nel caso che si usi un numero di ISO maggiore si potranno usare diaframmi più chiusi (o tempi più brevi) e viceversa. Aumentando il tempo, l'immagine appare mossa, ma chiudendo anche il diaframma, la luce che ha sensibilizzato il sensore è la stessa e il soggetto appare della stessa luminosità. Per convenzione si definisce l'EV come un logaritmo in base 2: dove A è l'apertura del diaframma e T il tempo di esposizione. Quindi, a combinazioni diverse di tempo e apertura, corrispondono uguali valori EV. Ad esempio, f5.6 e 1/60 equivale a f8 e 1/30. Al valore EV 0, corrisponde la coppia: apertura f/1.0 e tempo 1 secondo. Sapendo che ogni successivo valore di apertura dimezza l'intensità luminosa, per ottenere lo stesso valore EV 0 con una apertura di f/1.4, dobbiamo raddoppiare il tempo portandolo a 2 secondi. Il valore EV è sempre riferito a una sensibilità convenzionale di 100 ISO. Ad esempio, se passo da 100 ISO a 200 ISO dovrò dimezzare il tempo di esposizione o l'apertura del diaframma, "chiudere di uno stop". In fotografia, il termine esposizione indica il tempo durante il quale l'elemento sensibile sensore elettronico, resta esposto alla luce che passa attraverso il sistema ottico l’obbiettivo ed è determinata con l'ausilio dell'esposimetro. L'esposizione è definita come: esposizione = intensità luminosa × tempo e pertanto dipende dalla combinazione tra le impostazioni del diaframma, che regola l'intensità luminosa, e del tempo di esposizione. In particolare, fissata una data esposizione, diaframma e tempo sono inversamente proporzionali, ossia sono l'uno il reciproco dell'altro. La relazione che intercorre tra questi due elementi è definita quindi come reciprocità.
A parità di condizioni di luce, si ottiene la stessa esposizione se aumentando un termine se ne diminuisce un altro dello stesso fattore. Ne consegue che, moltiplicando uno dei tre parametri (diaframma, tempo, sensibilità) per un dato fattore, basterà dividere uno degli altri due per lo stesso fattore per ottenere un'immagine esposta allo stesso modo. ISO 100-f/8-1/30 ISO 100-f/4-1/125 ISO 100-f/11-1/15 ISO 200-f/8-1/60 ISO 200-f/11-1/30 ISO 200-f/4-1/250 Questa caratteristica permette un controllo, voluto sul risultato fotografico. Infatti, l'uso di una o dell'altra terna, pur garantendo la stessa esposizione equivalente, interferisce con altri aspetti quali la profondità di campo, un effetto mosso, ma siamo oltre: ricordiamoci che all'aumentare dell'apertura del diaframma diminuisce la profondità di campo della foto, mentre all'aumentare dei tempi di esposizione aumenta il rischio dell'effetto mosso, e all'aumentare della sensibilità, aumenta la granularità dell'immagine ,per l’effetto della grana o rumore elettronico nel caso del sensore . Fin dall’ origine della fotografia, l'esposizione fu l'elemento fondamentale per ottenere un fotogramma ottimale in ogni singola condizione luminosa. Un tempo era necessario fotografare con esposizioni molto lunghe, poiché il materiale su cui veniva impressa la fotografia era poco sensibile e quindi doveva rimanere per ore alla luce per assumere un aspetto simile alla realtà.
Nella prima fotografia della storia, Joseph Nicéphore Niépce dovette esporre un foglio di carta imbevuto di cloruro d'argento per circa 8 ore prima di ottenere un'immagine abbastanza luminosa e nitida. Con il tempo il materiale fotografico divenne sempre più sensibile, fino ad arrivare alle classiche pellicole dopo i sensori che hanno raggiunto livelli per la pellicola impensabili . Un altro accenno lo rivolgiamo allo strumento che viene utilizzato per misurare la luce che è l'esposimetro, che può essere esterno o interno. Un esposimetro può essere a luce riflessa, misurando così la luce che effettivamente proviene dal soggetto, oppure a luce incidente, che viene posto in prossimità del soggetto e ne misura l'illuminazione. Un esposimetro a luce riflessa ha a disposizione lo stesso tipo di informazione che arriva al sensore, e fornisce così una misura direttamente utilizzabile. Per contro, se il suo angolo (campo) non è molto ristretto, non è possibile determinare se tale illuminazione proviene dal soggetto, oppure è prevalentemente luce ambientale, per esempio il cielo o uno sfondo molto chiaro. Nel caso dell'esposimetro a luce incidente, invece, si ha una misurazione molto più precisa: l'esposimetro si trova esattamente nel punto di interesse. Tuttavia, soggetti diversi rispondono alla stessa illuminazione in modi molto differenti . Naturalmente l'esposimetro interno alle macchine fotografiche può essere solo del tipo a luce riflessa, perché non può essere posizionato in corrispondenza del soggetto. L'esposimetro misura la luce su una scala calibrata in valori di esposizione, già pronti, senza necessità di alcuna conversione, per essere utilizzati nelle formule per il calcolo di diaframma e tempo. Gli attuali esposimetri interni hanno permesso di limitare l'intervento umano utilizzando più sensori all'interno della fotocamera. La misura dell'esposizione può essere, ancora oggi, fatta con modalità esposimetriche tradizionali: misura in un punto centrale (spot) o in un'area centrale (pesata centrale) dell'immagine. Sono però disponibili anche modalità intelligenti, che misurano una matrice di più punti, determinando la natura della scena inquadrata e di conseguenza l'esposizione più appropriata. Le fotocamere elettroniche o digitali utilizzano dei programmi (vari-program) che, una volta calcolata l'esposizione corretta, scelgono la coppia tempo/diaframma più adeguata per la scena inquadrata.
Per convenzione, il calcolo dell'esposizione (il valore letto sull'esposimetro) viene fatto in modo tale che la zona di riferimento, per esempio il centro nella modalità spot, sia reso con un livello luminoso intermedio. Tale valore è quello del grigio 18%, cioè quello di una superficie con riflettenza pari al 18%. Esistono in commercio appositi cartoncini che presentano tale livello convenzionale di riferimento. Il valore esposimetrico misurato, per questo motivo, è da intendersi come un punto di partenza su cui effettuare le proprie scelte, più che come una prescrizione.
A queste considerazioni fanno eccezione i metodi a matrice o multizona, che applicano criteri basati sull'analisi di casi reali per cercare di determinare l'esposizione più corretta. Ma qual’è il motivo per il quale la scala del rapporto focale usa come misura dei numeri che a prima vista potrebbero sembrare “strani”. Si tratta della serie di potenze di radice quadrata di 2 . Se si utilizza una fotocamera dotata delle modalità manuali (P/A/S/M) noteremo che i numeri come f/5,6 o f/8. Variano al variare dell’inquadratura. Abbiamo preso in considerazione il caso di obiettivi a focale fissa, 50 mm f 1,4 ma le indicazioni stampate sugli zoom ci forniscono altri numeri come 18-35mm f/3,5-4,5 e ci informano che l’apertura massima con l’obiettivo a 18mm è f/3,5, cioè 5,1mm, mentre a 35mm arriva a f/4,5 e quindi 7,7mm. L’apertura massima nel secondo caso è lievemente più grande, ma il rapporto focale sembra più piccolo proprio per via della lunghezza focale, lo notiamo se guardiamo l’obiettivo della macchina al variare del rapporto della focale, a focali maggiori lenti frontali maggiori. In fotografia il numero f di stop indica l'apertura del diaframma, ed e' espresso come frazione: f/1, f/1.4, f/2, f/2.8, f/4, f/5.6 etc... Di conseguenza avanzando con gli stop il diametro del diaframma diminuisce sempre di più, pertanto un obiettivo con f/2.8 farà passare più luce (sarà quindi più luminoso) di un f/8. Ma quanto varia effettivamente la luce in ingresso in funzione del numero di stop? Lo vediamo subito, i calcoli sono abbastanza semplici, se siete curiosi. Diaframma a 8 lame su un obiettivo da 50mm Cominciamo con il dire che il diaframma è formato da una serie di lame che si aprono o si chiudono a seconda del numero di stop che impostiamo, la sua forma pertanto sarà ottagonale, possiamo approssimarla tranquillamente ad un cerchio e tanto più si avvicina meglio è. Sappiamo che l'area di un cerchio è pari a: Area Cerchio = ? * r^2 E dalle equazioni dell'ottica sappiamo che: f/ - N = f / D il Numero di stop è uguale alla lunghezza focale fratto il Diametro del diaframma. A questo punto non abbiamo bisogno d'altro per calcolare quanta luce entra sul sensore al variare del numero di stop, quindi procediamo con i nostri conti e otteniamo il raggio del diaframma dall'ultima formula: N = f / D -> D = f / N, essendo D il diametro, sappiamo che r = f / 2N Sostituiamo questa espressione a quella dell'area del cerchio ed otteniamo: Area Cerchio = ? * (f / 2N)^2 Calcoliamo ora qual'e' la sequenza che c'e' dietro al numero di stop, per farlo sarà sufficiente dividere un numero di f per il suo precedente: 1.4 / 1 -> 1.4 2 / 1.4 -> 1.42 4 / 2.8 -> 1.42 5.6 / 4 -> 1.4 8 / 5.6 -> 1.42 Facciamo una media dei valori ottenuti ed abbiamo: 1.41 che altro non e' che la radice di 2: 2^0.5, perciò possiamo dire che la progressione degli stop varia di un fattore prossimo alla sequenza geometrica delle potenze di due: 2^0.5, 2^(2*0.5), 2^(3*0.5), perciò:N/(N-1) ~= 2^0.5 dove N+1 e' uguale a 2^(x+1*0.5) L'ultima espressione significa solo che N non varia come i numeri naturali: 1, 2, 3 etc... Ma varia secondo la sequenza geometrica vista poco sopra: 2^0.5, 2^(2*0.5), 2^(3*0.5)... Quindi riutilizzando la formula dell'area possiamo sapere esattamente quanta sia la variazione di luce che entra tra uno stop ed il successivo, facciamolo numericamente e calcoliamo su un obiettivo da 50mm l'area del diaframma quando e' rispettivamente a f/2.8, f/4 e f/5.6, il risultato sarà uguale: Area(f/2.8) = ? * (50/2*2.8)^2 = 250 mmq Area(f/4) = ? * (50/2*4)^2 = 123 mmq Area(f/5.6) = ? * (50/2*5.6)^2 = 63 mmq Il diaframma in fotografia, è un'apertura solitamente tendente al circolare normalmente poligonale, incorporata nel barilotto dell'obiettivo, che ha il compito di controllare la quantità di luce che raggiunge i sensori di una fotocamera per il tempo in cui l'otturatore resta aperto il tempo di esposizione. Il centro del diaframma coincide con l'asse ottico della lente. Insieme al tempo di esposizione, l'apertura del diaframma determina la quantità di luce che viene fatta transitare attraverso l'obiettivo, che va quindi a impressionare i sensori. La maggior parte delle fotocamere dispone di un diaframma di ampiezza regolabile (simile, per funzione, all'iride dell'occhio) contenuto nell'obiettivo; la regolazione del diaframma si chiama apertura. A piena apertura il diaframma lascia passare, in un dato tempo, quanta più luce possibile verso il supporto sensibile; chiudendo il diaframma si riduce tale quantità di luce.
Nelle fotocamere, il diaframma può essere regolato su diverse aperture, distribuite regolarmente su una scala di intervalli detti numeri f (f/numero) o f/stop o aperture diaframma o divisioni di diaframma o più semplicemente diaframmi. La sequenza dei valori di numeri f è una progressione geometrica di ragione (circa 1,4) standardizzata al congresso di Liegi nel 1905, che comprende i seguenti valori: f/1 f/1,4 f/2 f/2,8 f/4 f/5,6 f/8 f/11 f/16 f/22 f/32 f/45 f/64 L'intervallo tra i diversi valori del diaframma viene comunemente indicato in gergo stop. I numeri f sono calcolati e ordinati in modo tale che diaframmando, cioè chiudendo il diaframma di un'intera divisione o di 1 stop, si dimezza la quantità di luce che entra per impressionare i sensori; chiudendolo di 2 stop si diminuisce la luce a 1/4, chiudendolo di 3 divisioni a 1/8 e così via. I numeri f esprimono il rapporto focale, cioè il rapporto tra la lunghezza focale dell'obiettivo e il diametro dell'apertura del diaframma. Pertanto a valori più bassi di f corrispondono aperture di diaframma più ampie. Ad esempio, con un obiettivo di 50 mm, un'apertura del diaframma di 25 mm corrisponde a f/2 mentre un'apertura di 3,125 mm a f/16. In questo senso f è chiamato anche "apertura relativa", nel senso che il valore f dell'apertura è normalizzato rispetto alla lunghezza focale, ed esprime l'intensità di luce lasciata passare dal diaframma, utile ai fini del calcolo dell'esposizione. Infatti la stessa apertura relativa per esempio f/4 corrisponde a due aperture assolute diverse in un obiettivo di lunghezza focale 50mm (apertura assoluta a f/4 = 50/4=12,5 mm) e in un teleobiettivo 300mm (apertura assoluta a f/4 = 300/4=75 mm); però corrisponde alla stessa intensità di luce che l'obiettivo lascia passare verso il sensore. A parità degli altri parametri (obiettivo, formato, ecc) la profondità di campo è fortemente influenzata dall'apertura del diaframma: se questo è completamente aperto essa assume il minimo valore, viceversa diminuendo l'apertura (l'operazione è detta diaframmare) si aumenta la profondità di campo, che raggiunge il massimo quando il diaframma è portato all'apertura minima.
Diaframmi più chiusi hanno anche l'effetto di ridurre gli effetti di aberrazione ottica. Diaframmi molto chiusi provocano un peggioramento dell'immagine, dovuto alla diffrazione dei raggi luminosi per opera dei bordi del diaframma. Questi raggi diffratti dai bordi sono sempre presenti, ma il loro effetto sulla qualità dell'immagine diventa rilevante solo a diaframma chiuso. In fotografia, i primi diaframmi introducevano delle deformazioni nell'immagine dette a barilotto o a cuscinetto. I diaframmi altro non erano che tappi forati al centro, posti davanti oppure dietro all'ottica.
Oggi quello utilizzato è quello detto «a iride»: è formato da un numero variabile di lamelle , da 4 in su fino a 9, sagomate in maniera opportuna. Le lamelle sono imperniate in una ghiera rotante azionabile dall'esterno che, scorrendo, fanno variare in maniera continua la dimensione del foro. La sagoma del foro è dovuta alla forma delle lamelle e si avvicina al cerchio quanto più il loro numero è alto.

martedì 12 luglio 2011

Obiettivi fotografici e linee per mm

Le linee/mm servono a cosa servono ? ci aiutano a riconoscere un obiettivo buono da uno meno buono ? Le curve della risolvenza di un obiettivo, servono solo per dare un'idea di quante informazioni potenziali, possono essere registrate dal sensore o daslla pellicola e soprattutto per vedere se l’immagine dal centro ai bordi e per l’apertura di tutti i diaframmi, rispondono con uniformità. Dal momento che tutte le lenti presentano una determinata quantità di aberrazione sferica e astigmatismo, i raggi non possono convergere perfettamente da un punto del soggetto per formare un punto dell'immagine reale. Le immagini si formano da un insieme di punti che occupano una determinata area. Dal momento che le immagini diventano meno nitide man mano che la dimensione dei punti aumenta, i punti vengono chiamati circoli di confusione. Pertanto, per indicare la qualità delle lenti si utilizza il parametro del punto più piccolo che le lenti riescono a formare, ovvero il circolo di confusione minimo. La dimensione massima ammessa per il punto in un'immagine è chiamata circolo di confusione ammissibile. A questo punto, sorge spontanea la domanda su come si è arrivati a calcolare il circolo di confusione. Una persona, osservando un foglio bianco da circa 20-25 cm. di distanza è in grado di distinguere due punti disegnati sul foglio che distino tra loro 1/16 di mm; 1/16 di mm. è il potere risolvente del nostro occhio, al di sotto di 1/16 questi punti non vengono più percepiti come distinti ma diventano una sola macchiolina sfuocata, un circolo di confusione appunto che si traduce nella distanza minima che permette di percepire due punti come distinti. Dato che è proprio la nitidezza che ci interessa, per riuscire a distinguere dettagliatamente gli oggetti, si può già immaginare come il circolo di confusione sia anche direttamente implicato nella determinazione della profondità di campo. Quando è stata affrontata l’annosa questione, ci si rese conto che 1/16 di mm (16 linee per mm) era un parametro per lo più teorico e si decise così che anche 1/6 di mm (0,1667 mm) poteva andare bene. Infatti 1/16 si ottiene sotto le migliori condizioni: luce perfetta, punti estremamente contrastati ed un osservatore con buone capacità visive. Succede che la luce non è ideale e che noi siamo più o meno affetti da disturbi visivi. All'alba della stampa fotografica formato famiglia, il formato più in uso, richiedeva stampe di piccole dimensioni, circa 5 volte le dimensioni del negativo 35 mm e perchè un ingrandimento di questo tipo risulti nitido il circolo di confusione diventa 0,1667/5=0,0333 mm. Questo valore è stato il parametro utilizzato da molti produttori di lenti per testare i propri obiettivi, viene espresso anche in linee pari per millimetro: 1/0,0333= 30 lp/mm; guarda caso, 30 lp/mm è anche il massimo valore risolvente richiesto ad una stampa fotografica e così si è assunto questo valore come standard. La risoluzione si misura in linee per millimetro (L/mm) o coppie di linee per millimetro (LP/mm). Attenti sono due cose diverse. Gli ingegneri, parlano di linee per millimetro, visto che per avere una linea nera ne occorre anche una bianca. I fotografi, parlano di coppie di linee per millimetro. 30 L/mm per un ingegnere significano 30 coppie di linee perché, come detto, ogni linea nera ne deve avere una corrispondente bianca, però la risoluzione non è un assoluto scientifico ma è totalmente soggettiva e variabile da individuo a individuo. Fra le innumerevoli caratteristiche che deve possedere un obiettivo, la nitidezza è di gran lunga quella più analizzata. Ma i concetti legati alla nitidezza, quando leggiamo un test su un obiettivo, in modo da distinguere quali tra due o più performante, di questi quali sono i parametri realmente importanti per i nostri scopi, molto dopo scopriamo, con la pratica, che in qualche caso forse è meglio chiedere di meno sul fronte della nitidezza a vantaggio di quello di una resa cromatica più calda, vedi il ritratto, anziché più incisivo e neutro per un panorama, cambiando la marca degli obiettivi si cambia anche la resa cromatica. Precisiamo che per nitidezza di un'immagine si intende un insieme di parametri che dipendono sia dalla qualità delle ottiche, che dal sensore utilizzato. Ritornando alle serie ripetute di linee vengono create parallelamente e perpendicolarmente, alla diagonale del fotogramma 35mm, le linee parallele vengono chiamate linee sagittali (S nei grafici MTF Canon); Le linee perpendicolari vengono chiamate linee meridionali (M). La maggior parte degli obiettivi è in grado di riprodurre in modo più nitido i particolari al centro del fotogramma rispetto a quelli che si trovano vicino ai bordi. I grafici MTF visualizzano le prestazioni degli obiettivi dal centro dell'obiettivo verso l'angolo. In un grafico MTF, le linee continue indicano le prestazioni delle linee sagittali (parallele alla diagonale della pellicola); le linee tratteggiate indicano le prestazioni delle linee meridionali (perpendicolari alla diagonale). Pertanto, solitamente un grafico MTF mostra linee che tendono a curvare verso il basso man mano che si procede verso destra. La curva indica le prestazioni dell'obiettivo dal centro agli angoli dell'inquadratura. Ricordiamoci che più in alto ci si trova nel diagramma e migliore è il contrasto. Teniamo anche a mente che spostandoci verso la destra del diagramma, andiamo verso il bordo del fotogramma, differenziando così il comportamento al centro ed ai bordi dell'ottica. I diagrammi MTF non ci parlano però della vignettatura, delle distorsioni lineari, della resistenza al flare. Un diagramma MTF ci può aiutare a capire come si comporta il vetro. I parametri che caratterizzano la nitidezza di un'immagine e di conseguenza dell'ottica, sono sostanzialmente due : 1. La Risoluzione o Risolvenza 2. L'acutanza o micro-contrasto entrambi giocano un ruolo importante nel formare la sensazione di nitidezza dell'immagine. Sebbene la risolvenza e il micro-contrasto sono parametri in una certa misura indipendenti, essi sono legati dal fatto che limitazioni alla risoluzione e perdite di contrasto nelle immagini sono effetti causati dagli stessi fenomeni quali, le aberrazioni dell'ottica e la diffrazione, che impediscono la focalizzazione perfetta sul piano del sensore dei raggi di luce provenienti dal soggetto. La Risoluzione o Risolvenza è stato il primo parametro ad essere definito in modo più o meno sistematico, nel modo seguente:la risoluzione di un'ottica è tanto più elevata tanto più questa è capace di produrre immagini nelle quali è possibile distinguere particolari di dimensioni minori. La misura della risolvenza è semplicemente data dal numero massimo di coppie di linee che si possono risolvere per ogni millimetro di immagine sul sensore (linee/mm). Si presentano due problemi. Il primo è stato già preso in considerazione ed è il fatto che l'immagine di norma si costruisce sul sensore il quale a sua volta può ridurre la capacità di risolvenza. Questo problema può essere evitato usando pellicole/sensori digitali con risolvenze maggiori di quelle delle ottiche. L'altro problema è causato dal fatto che la capacità di distinguere la presenza di linee alternate dipende in parte dall'osservatore. Questo aspetto è strettamente collegato poi al fatto che la risolvenza ci dice sostanzialmente quanta informazione può al massimo catturare il sensore, ma, non fornisce nessuna informazione sulla qualità di questa informazione. Un'ottica può ad esempio risolvere 200 linee/mm ma in modo tale che la differenza di toni sia così lieve che chi osserva l'immagine riscontra una differenza tra la linea chiara e quella più scura, appena accentuata . In questo caso la sensazione di nitidezza che l'immagine ci invia è scarsa, anche se il potere risolvente è ottimo. La risolvenza non può dunque essere l'unico parametro che ci permette di capire quanto sia alta la sensazione di nitidezza prodotta da un'immagine e quindi il loro contrasto è altrettanto importante. A questo punto ci viene in aiuto un secondo parametro: l'acutanza, le perdite di risoluzione ma anche contrasto che si osservano nelle immagini con dettagli molto fini sono causate dal fatto che a causa di aberrazioni insite nel sistema ottico oppure della semplice diffrazione della luce, una ipotetica sorgente perfettamente puntiforme produce un'immagine tutt'altro che puntiforme. A causa di questo sparpagliamento del raggio luminoso una struttura "a scalino" nel soggetto verrà registrata sul sensore come una struttura con profili magari ripidi ma "morbidi". Tanto più ripidi saranno i profili tanto maggiore sarà la sensazione di nitidezza prodotta dall'immagine. Profili dolci producono evidentemente una perdita di nitidezza ma di un tipo diverso da quello misurabile mediante il test della risolvenza. La misura precisa della rapidità di cambiamento dei toni di grigio si effettua mediante il test dell'acutanza. Dato un soggetto che presenta un profilo di illuminazione a gradino, si analizza il profilo di salita dell'intensità luminosa nell'immagine. L'acutanza è tanto maggiore tanto minore è la distanza D tra il punto al 10% e quello al 90% dell'intensità massima. Purtroppo, però, la misura della distanza D tra il 10% e il 90% del profilo immagine di una sorgente a gradini e' un'operazione tutt'altro che immediata. In fase di progettazione di un ottica il produttore deciderà se indirizzare la sua ottica, verso una più alta risolvenza, oppure in quella del maggiore contrasto, oppure quella di un buon compromesso tra i due. I test MTF che si trovano sulle riviste o in rete danno indicazioni sull’andamento della nitidezza al variare dell’apertura del diaframma o della posizione delle frange all’interno del campo inquadrato (nitidezza al centro o a i bordi). Per esigenze di praticità e leggibilità dei grafici queste misure sono effettuate ad una frequenza spaziale fissa. Naturalmente la nitidezza è una caratteristica dell’obiettivo, ma è la sua destinazione d’uso che determina la frequenza alla quale effettuare il test. I grafici MTF non includano molti fattori che possano aiutare nella scelta di un obiettivo, quali le dimensioni, il costo, la maneggevolezza, la minima distanza di messa a fuoco, l'apertura relativa massima, la stabilizzazione, forniscono alcune caratteristiche, che possono ritornarci utili, per una scelta, ma sono solo un complemento a quello che noi chiediamo. Queste frequenze che sono solitamente utilizzate per le ottiche sono: • Formato 135 (24x36) (tutte le reflex a formato pieno) frequenza 10,20,40 linee/mm •Formato APS-H (18x28) (serie Canon 1D) 13,26,52 linee/mm • Formato APS-C (Nikon DX, Pentax, Sony,...., 16x24) 15,30,60 linee/mm •Formato APS-C (Canon 15x22.5) 16,32,64 linee/mm • Olympus QuattroTerzi 20,40,80 linee/mm Per il sistema “a formato pieno” 24x36 la misura del trasferimento di contrasto alla frequenza spaziale di 10 linee/mm e’ importante per stimare la resa dell’ottica in termini di contrasto generale oppure se si intende stampare le fotografie nel classico formato 10x15 cm. In altri termini una lente con MTF10 prossimo all’unità produrrà sicuramente immagini con un eccellente contrasto generale ma non sarà necessariamente nitido sulle piccole scale. La frequenza di 20 linee/mm è associata a strutture di dimensioni due volte più piccole delle precedenti, che possono essere notate in stampa solo su formati da 20x30cm in su. Il valore di MTF20 dà quindi informazioni sia sul contrasto generale che sulla nitidezza. Il valore MTF40, di contro, darà informazioni esclusivamente sul contrasto a piccolissime scale, molto prossime alle minime scale risolvibili dai sensori odierni mentre non darà nessuna informazione sul contrasto generale: una lente con un valore MTF40 relativamente elevato avrà ottime doti di risolvenza ma non necessariamente fornirà un contrasto elevato alle scale più grandi. Vediamo ora perchè nei sensori di dimensioni inferiori al 24x36 le frequenze spaziali delle prove devono essere più elevate. Poichè ad esempio nel formato Nikon DX le dimensioni del sensore sono 1.5 volte inferiori a quelle del formato 24x36, l’obiettivo deve lavorare a frequenze spaziali 1.5 volte maggiori. In altre parole mentre per riempire tutto il fotogramma 24x36 sono necessarie 36mm x 10linee/mm=360 linee verticali nel caso di MTF10, per riempire il sensore in formato DX con le stesse 360 linee (quindi avere la stessa immagine catturata) il sensore deve ricevere le righe in una lunghezza 1.5 volte inferiore (24mm) con la conseguente frequenza spaziale di 15 linee/mm. Su canon il fattore di moltiplicazione può essere 1,6 oppure 1,3. Questo spiega per quale motivo di solito obiettivi progettati per i corpi a pellicola o digitali a formato pieno, molto spesso, hanno prestazioni in termini di nitidezza inferiori se montati su reflex digitali con sensori a formato ridotto: in questi casi le lenti sono obbligate a lavorare a frequenze spaziali piu’ elevate e, come abbiamo visto, all’aumentare della frequenza il grado MTF diminuisce (anche sensibilmente).

sabato 9 luglio 2011

Quanti pixel per una buona fotografia ?

La storia di Canon, relativamente allo sviluppo del sensore, cominciò nel 1987, quando ebbe inizio l'impiego del sensore BASIS per i suoi sistemi autofocus. Continuando la ricerca e lo sviluppo in questo campo, Canon nel 2000 presentò la EOS D30, la prima reflex dotata di sensore CMOS per la cattura di immagini a colori. La D30 da 3 megapixel è per Canon la prima reflex digitale, costruita da zero per essere una reflex digitale, la loro esperienze precedenti nel campo delle reflex digitale sono state la, EOS D2000 e EOS D6000 sono stati joint venture con Kodak, corpi con innesti a baionetta sia per Canon che per Nikon, utilizzando con sensori Kodak, queste telecamere sono anche conosciute come i DCS520 e DCS560. Desiderosi di produrre in proprio ed incoraggiati dal successo della fotocamera, alla Canon come la Nikon hanno continuato a sviluppare questa nuova tecnologia. La tecnologia relative al sensore, CMOS, costituisce la base per le più diffuse reflex digitali al mondo. Usando un idoneo processo di miniaturizzazione e componentistica elettronica più efficiente, i progettisti del sensore hanno ridotto le dimensioni delle parti che costituiscono ogni singolo pixel sia lo spazio tra di loro, hanno Incrementato l'area sensibile del fotodiodo, ottenendo un sensore molto più sensibile alla luce e che quindi richiedeva minore amplificazione del segnale. Così, nonostante ogni area-pixel fosse più piccola, proporzionalmente risultò più sensibile. Nel marzo 2002, Canon lanciò la seconda fotocamera EOS dotata del sensore CMOS: EOS D60 da 6,3 Megapixel, dopo una lunghissima scia, con funzioni ergonomiche, pratiche, che ci aiutano durante la nostra creatività. LA RICHIESTA DI UN SENSORE PIÙ AMPIO Entrambe le EOS, D30 e D60, possedevano un sensore APS-C, da 22,7 x 15,1 mm. Ricordiamoci però che le dimensioni della pellicola da 35 mm a pieno formato misura 36mm x 24mm. Una delle ragioni per le quali la Canon si è dedicata nel corso degli anni allo sviluppo di un sensore a pieno formato, è per perseguire il suo miglioramento nella qualità dell’immagine. La qualità dell’immagine offerta da un sensore a pieno formato è superiore perché consente di migliorare la risoluzione e di adottare pixel più grandi.
immagine http://www.rgbphotos.info/2010/08/panasonic-lumix-lx5-e-lx3-confronto-con.html
Con questi modelli che oggi si pongono in una fasci intermedia, da fotoamatore evoluto, inizia la fine della pellicola, inizia l’era delle macchine fotografiche digitali, la pellicola è sostituita da un sensore. Questo sensore altro non è che un chip su cui l’immagine è catturata in analogico e convertita in digitale. Il sensore della fotocamera è diviso in milioni di piccole aree chiamate pixel, ognuna delle quali registra l’informazione di colore relativa a un’area molto piccola. Oggi i sensori raggiungono facilmente risoluzioni di svariati milioni di pixel. In fotografia il numero di pixel si misura in Megapixel/Mp (milioni di pixel). Il numero totale di pixel è calcolabile anche come prodotto della massima risoluzione verticale per la massima risoluzione orizzontale. Ad es. se la macchina riprende 1280x1024 = 1,3 Mp. Per eseguire l’operazione contraria dobbiamo ricordarci che il rapporto standard tra la risoluzione orizzontale e quella verticale è di 1,25:1. Quindi per prima cosa dobbiamo dividere il numero di Mp per 1,25 poi calcolare la radice quadrata (otterremo la misura minore: 1024) infine calcolare l’altra misura moltiplicando nuovamente per 1,25.
Ma quanto conta il numero di Megapixel, a parità di formato del sensore, se non facciamo calcoli potremmo dire che con più Mp le aspettative, nella realtà ci potrebbero deludere soprattutto da chi si aspetta un nettissimo cambiamento. Quindi passando da 2 MP a 5Mp potreste pensare che un oggetto fotografato raddoppi la sua dimensione e può essere stampato ad grandezza doppia. Invece no, perchè linearmente la risoluzione del CCD è aumentata solo della radice quadrata di 5/2 e cioè di 1,6 volte! Ben meno che 2,5 che ci saremmo aspettati . Se per definizione intendiamo l’aumento di dettagli in entrambe le direzioni, i Mp sono effettivamente un parametro utile che misura l’aumento di nitidezza nell’immagine. Ma se ci interessa notare un particolare o stampare la foto più che i Megapixel ci interessa la risoluzione orizzontale (o verticale) e passando da un sensore all’altro quello che conta è la radice quadrata del rapporto tra le dimensioni dei sensori in Mp. Rapporti teorici e Rapporti reali Sensori 1 Mp 2 Mp 3 Mp 5 Mp 10 Mp 14 Mp
1 Mp 1 1 2 1,4 3 1,7 5 2,2 10 3,1 14 3,7
2 Mp 1 1 1,5 1,2 2,5 1,6 5 2,2 7 2,6
3 Mp 1 1 1,7 1,3 3,3 1,8 4,7 2,2
5 Mp 1 1 2 1,4 2,8 1,7
10 Mp 1 1 1,4 1,2
14 Mp 1 1
Come si può osservare i rapporti reali tra risoluzioni orizzontali sono molto deludenti rispetto all’aumento di Megapixel e sono tanto più deludenti in percentuale quanto maggiore è l’aumento dei pixel. In altre parole se l’aumento dovrebbe essere del doppio in realtà è di 1,4 volte. Ma se “dovrebbe” essere di 14 volte è di appena 3,7! Facciamo attenzione perché il numero dei pixel è un parametro che sta ad indicare la risoluzione. E questo dovrebbe essere uno dei fattori che determina la nitidezza dell'immagine, però per valutare la qualità complessiva dell'immagine, oltre ai pixel entrano in gioco le dimensione del sensore, entrano in gioco altri fattori, come la fedeltà cromatica di ogni pixel, la qualità delle ottiche e dei sensori, il software che gestisce le informazioni e questo varia moltissimo, da una casa produttrice ad un altra.
Un altro fattore secondario di una immagine digitale, è il numero di pixel che viene calcolato semplicemente moltiplicando il numero di pixel della base dell'immagine per il numero di pixel dell'altezza. Ad esempio un'immagine di 1,92 Megapixel (equivalenti a 1.920.000 pixel) sono il risultato di un'immagine di 1600x1200 pixel. Il valore indicato è comunque approssimativo in quanto una parte dei pixel, in genere quelli periferici del sensore, servono al processore d'immagine per avere informazioni sul tipo di esposizione, ad esempio sulla luminosità della scena, ricoprendo il ruolo di pixel di servizio. Dunque un sensore può essere dotato di 10,20 megapixel, ma registrare immagini di 10 megapixel . Una cosa forse molti non sanno è che per misurare la dimensione del sensore, i produttori ancora usano le tecniche ereditate dalla produzione di televisori a tubo catodico, quello che è citato è il diametro di un cerchio nel quale si applica la cornice, misurato in pollici. Quando cambiamo la macchina fotografica, con una con più pixel, ma manteniamo le dimensioni del sensore forse non abbiamo fatto grandi passi in avanti, scegliamone una con un sensore più grande, probabilmente miglioriamo la qualità delle nostre stampe, ma non la nostra capacità tecnica..

mercoledì 6 luglio 2011

La bandiera Siciliana

Il capo reciso della Gorgone assume un valore apotropaico dal greco, apotrépein "allontanare" e nell’ iconografia siciliana acquistò questo specifico potere, perché era credenza comune che fosse possibile tenere lontani gli spiriti maligni con l’imitare la maschera mostruosa di uno di loro. Proprio per la loro funzione apotropaica, le maschere gorgoniche vennero usate per decorare i Templi. Il simbolo della Trinacria, diviene una sorta di potente talismano. Con esso la Sicilia vuole esorcizzare il pericolo e terrorizzare quelli che hanno intenzione di conquistarla, saccheggiarla e dominarla. L’isola, si è sempre liberata, cacciando i tiranni, i conquistatori, ma coloro che la hanno conquistata, rapiti dalla sua bellezza hanno lasciato, usi, costumi, l'isola è riuscita ad uscire da tutte quelle le vicissitudini che hanno interessato questa terra. Oggi l’antico simbolo è al centro del vessillo della Regione siciliana, esso è costituito da un drappo bicolore giallorosso, che diagonalmente esprime il giallo della bandiera civica di Palermo ed il rosso della bandiera civica di Corleone, che fu il primo comune siciliano a seguire l’esempio di Palermo nella rivolta antifrancese del Vespro siciliano, scoppiato nella città di Palermo il 30 marzo 1282. Pochi giorni dopo, nell' aprile 1282, venne stipulato il patto di alleanza tra i Palermitani e i Corleonesi, per combattere contro il comune nemico angioino; e nello stesso giorno, con rogito del notaio Benedetto da Palermo, nacque il vessillo dei Siciliani liberi, unendo i colori delle due città». Da allora, questo colore rappresenta l’unione spirituale dei Siciliani, mentre il simbolo della triscele, vuole ricordare che la Trinacria è terra di dei, di bellezze e di rinascita. Le spighe di grano esprimono la fertilità dell'isola, il carattere degli isolani, che come le spighe di grano si curvano al vento, ma una volta passato si risollevano, e dai suoi semi, il territorio non diventa solo oggetto di valutazione e consumo, ma speranza per un futuro migliore.

lunedì 4 luglio 2011

La regola Aurea o Divina Proporzione

Siete annoiati vogliamo abbandonare la fotografia, sogniamo una macchina migliore, siamo così convinti che otterremo immagini migliori.
Un oggetto od un simbolo, sostiene Mircea Eliade, “diventa sacro nella misura in cui incorpora, cioè rivela, una cosa diversa da se. Importa poco che tale diversità sia dovuta alla forma singolare, all’efficacia...”. A questo punto valutiamo, come canone di Unità, una semplice retta A B. All’apparenza essa non è altro che un segno su un foglio di carta o una linea tracciata sul terreno, che di sacro sembra avere ben poco, ma la potremo considerare una vera e propria Ierofania nel momento in cui la divideremo in due tratti, uno più lungo l’altro corto. A_______C___B La definizione di Ierofania, la si potrà adattare a quell’oggetto-simbolo esclusivamente se la divisione della retta verrà fatta seguendo una regola ben precisa: quando, cioè, il tratto più corto (CB) sta al tratto più lungo (AC)come il tratto più lungo (AC) sta al segmento intero (AB). Così si ottiene una sezione aurea. In questo caso, ancora una volta, il pensiero di Mircea Eliade chiarisce il concetto di “Ierofania” affermando che un oggetto-simbolo “... diventa una ierofania soltanto nel momento in cui cessa di esistere un semplice oggetto profano e acquisisce una nuova dimensione: la sacralità” Ne consegue che non tutte le rette, sol perché divise in due tratti, possono assurgere a Ierofania, ma solo quelle in cui i tratti di divisione stanno all’intera retta con un rapporto sempre costante rappresentato dal numero 1,618033: universalmente noto con la lettera greca φ(phi).
Leggiamo il breve excursus, sulla regola aurea e scopriamo che le migliori menti della storia si sono arrovellate ed hanno trovato il motivo perché una composizioni piace mentre un'altra no.

La geometria ha due grandi tesori: uno è il teorema di Pitagora; l'altro è la divisione di un segmento secondo il rapporto medio e estremo. Possiamo paragonare il primo a una certa quantità d'oro e definire il secondo una pietra preziosa. Keplero (1571-1630)
Nella letteratura matematica il simbolo che inizialmente indicava il rapporto aureo era la lettera greca tau , in quanto iniziale del nome greco tomé, che significa taglio o sezione. Fu il matematico americano Mark Barr che introdusse all'inizio del XX secolo l'uso della lettera (phi), dall'iniziale dello scultore greco Fidia vissuto tra il 490 e il 430 a.C. Si reputa infatti che Fidia avesse usato il rapporto aureo per creare le sculture del Partenone e Barr volle rendergli omaggio indicando tale rapporto con φ(phi).
L’opera dell’ingegno umano, quando è integrata dall’equilibrio e dall’armonia, raggiunge la massima espressione del terzo canone universale dopo l’unicità e l’adattabilità, la Bellezza.
La Divina Proportione, come ogni cosa, ha scatenato polemiche tra quanti, molti, sostengono la validità della sezione aurea come indiscutibile principio di bellezza e quelli che, al contrario, sono convinti dell’assoluta casualità o addirittura dell’assenza di questo rapporto nelle opere d’arte, e che essa è forzatamente ricercata con la matematica.
No dico de la dolci e soave armonia musicale ne de la summa vaghezza e intellectual conforto prospectivo: e de la dispositione de architectura con la descriptione de luniverso marittimo et terrestre e doctrina de corsi e celestial aspetti perche di lor quel che hor le ditto chiaro appare. Lascio per men tedio allectore scentie altre assai pratiche especulative con tutte laltre mechaniche in le cose humane necessarie de le quali senza il suo ragio de queste non e possibile lor acquisto: ne dubito ordine in quelle servare. Di Luca Pacioli, De Divina Proportione
Leonardo Pisano, più noto come Fibonacci. Durante la sua infanzia Fibonacci ebbe un maestro mussulmano e viaggiò in Egitto, in Siria e in Grecia; era pertanto naturale che Leonardo si impregnasse di metodi algebrici arabi, compreso il sistema notazionale indo-arabico. Le nove cifre indiane sono: 9 8 7 6 5 4 3 2 1. Con queste nove cifre, e col segno 0... si può scrivere qualunque numero. Con queste parole inizia una delle più celebri opere di Leonardo Fibonacci: il Liber abaci pubblicato nel 1202, all'interno del quale si cela uno dei quesiti che più ispirò i futuri matematici e che curiosamente ha a che fare con i conigli.
La media aurea non è a atto banale Tutt'altra cosa che un comune irrazionale. Capovolta, pensate un po', Resta se stessa meno l'unità. Se poi di uno l'aumentate Quel che otterrete, vi assicuro, è il quadrato. Di Paul S. Bruckman, Media costante, The Fibonacci Quarterly, 1977
Vitruvio nel De Architectura scrive: “Il centro del corpo umano è inoltre per natura l’ombelico; infatti, se si sdraia un uomo sul dorso, mani e piedi allargati, e si punta un compasso sul suo ombelico, si toccherà tangenzialmente, descrivendo un cerchio, l’estremità delle dita delle sue mani e dei suoi piedi”.
Ne L’Uomo, Leonardo studia le proporzioni della sezione aurea secondo i dettami del De Architectura di Vitruvio che obbediscono ai rapporti del numero aureo. Leonardo stabilì che le proporzioni umane sono perfette quando l’ombelico divide l’uomo in modo aureo.
Anche l’architetto svizzero Le Corbusier (1887-1965) con il suo Modulor ha presentato lo schema della figura umana suddivisa in parti proporzionali, ognuna sezione aurea di un’altra. Nel Modulor il rapporto tra l’altezza dell’uomo (183 cm) e la distanza dell’ombelico dal suolo (113 cm) equivale al numero aureo; altri rapporti aurei sono calcolati da Le Corbusier in quest’opera. L’architetto basava tutti i suoi progetti su queste proporzioni per costruire l’abitazione ideale dell’uomo: dai tavoli alle sedie, dalle maniglie delle porte alle finestre, dai palazzi all’urbanistica, tutto doveva rientrare nelle proporzioni armoniose del suo schema.

Dopo queste citazioni, ritorniamo alla composizione di una immagine, che altro non è che la padronanza della tecnica come primo requisito, però può accadere che le fotografie lasciano indifferenti, malgrado siano tecnicamente corrette come nitidezza, esposizione, mancano della divina proporzione. Siamo stati abituati a leggere da sinistra verso destra dall’alto in basso a distinguere le forme fondamentali come il rettangolo, il quadrato, il cerchio e il triangolo, tutto questo ci fa scattare dei meccanismi inconsci, ad esempio: Il rettangolo implica una direzione poiché una delle sue dimensioni è più lunga dell'altra, più è allungato più si accentua quest’effetto. Un rettangolo orizzontale da risalto alle linee e ai piani orizzontali, un rettangolo verticale mette in evidenza l'altezza, la direzione verso l'alto o verso il basso. Il quadrato per la sua simmetria ha un'organizzazione centrale, è forma statica, evoca concetti di stabilità, calma. Il cerchio da un'immagine ancora più centralizzata del quadrato, posto al centro del fotogramma identifica il soggetto principale. Il triangolo convoglia l'attenzione dagli elementi contenuti all'interno del perimetro fino al vertice che determina il centro d'interesse.
immagine: http://www.clickblog.it/galleria/sezione-aurea/8 La composizione risulta "ben riuscita", quando i vertici delle figure nascoste va a coincidere con l'intersezione delle linee, che formano la sezione aurea.
Andreas Feininger nel libro "la fotografia: principi di composizione" scrive: “nel dizionario "comporre" è definito come dare forma combinando insieme. (...) Combinando insieme che cosa? Tutti i fattori che concorrono a creare una fotografia: peculiarità del soggetto fotografato, sfondo e primo piano, contorni e forme, colori o tonalità di grigio e poi la distribuzione delle luci e delle ombre, di nero e di bianco; le dimensioni del soggetto e l'angolo di ripresa, la prospettiva in termini di compressione e dilatazione delle distanze, contrapposizione e sovrapposizione di forme; la disposizione e i rapporti reciproci degli elementi che compongono l'immagine, la posizione dell'orizzonte, il taglio e le proporzioni dell'ingrandimento. in breve: tutti gli elementi della fotografia che, secondo l'uso che ne fa il fotografo, trasmettono il suo messaggio all’osservatore in forma graficamente efficace o inefficace.” Possiamo definire con certezza che la composizione si basa sull'individuazione del punto d'interesse, che è il punto principale dell'immagine, dove lo sguardo dell'osservatore è indotto a soffermarsi, e da li iniziarte l’osservazione dell’immagine rappresentata, non necessariamente deve coincidere con il centro dell'immagine, deve solo essere in armonia con tutte le altre parti che la compongono.
Il senso della vista è controllato dal cervello, che concentra l'attenzione sugli aspetti d’interesse immediato. La fotocamera non pensa e vede oggettivamente: registra in modo imparziale, cogliendo gli aspetti importanti del soggetto, oltre altri elementi che non interessano o addirittura disturbano. L'uomo vede in forma stereoscopica, l'uomo percepisce la profondità, la fotocamera registra in modo piatto e deve essere il fotografo a creare l'illusione della profondità di campo la tridimensionalità, attraverso la percezione della convergenza di linee che in realtà sono parallele, la loro sfocatura, il gioco delle luci e delle ombre, ecc. Le linee di forza di una immagine sono quelle linee immaginarie che guidano lo sguardo di chi osserva la fotografia verso una certa direzione sia per dare l'illusione del movimento, sia per mettere in evidenza il punto d'interesse. Il migliore modo per applicare tutto questo è la sezione aurea, che è stato ed è il canone di bellezza risalente ai pittori e scultori dell'antica Grecia. In fotografia come nelle arti grafiche, si applica per dare proporzioni alla fotografia, per stabilire la posizione del centro d’interesse e per fissare la posizione dell'orizzonte, questo si riflette anche nelle forme geometriche nascoste che vengono riconosciute mentalmente dall'osservatore e rendono più gradevole l'immagine.

Matematicamente si definisce così: Si chiama sezione aurea o parte aurea di un segmento quella parte di esso che è media proporzionale tra l’intero segmento e la parte rimanente. A |________|C___| B Scegliamo come unità di misura della lunghezza il segmento più breve, CB. La lunghezza del segmento maggiore, AC, sarà quindi x volte CB, dove x è un fattore sconosciuto (tranne per il fatto di essere maggiore di 1, visto che AC > CB ). Dire che la nostra linea è divisa secondo la proporzione estrema e media equivale a dire che: x : 1 = x + 1 : x x2 = x + 1 La due soluzioni di questa equazione di secondo grado sono: x1 = 1+radice di5 /2 e x2 = 1- radice di5 /2 La soluzione positiva ci fornisce il valore del rapporto aureo, phi . phi = 1,6180339887 phi elevato 2 = 2,6180339887 1/phi = 0,6180339887 Il rapporto aureo è l'unico numero non naturale il cui reciproco e il cui quadrato mantengono inalterata la propria parte decimale.
Definizione Si chiama rapporto aureo o numero aureo, e si indica con la lettera greca phi , il rapporto tra una grandezza e la sua parte aurea. Secondo molti artisti greci e italiani del Rinascimento, il rettangolo che maggiormente appaga il nostro senso estetico è quello in cui i lati stanno in rapporto aureo . Si chiama rettangolo aureo il rettangolo avente un lato che è sezione aurea dell’altro.
Costruzione con riga e compasso di un rettangolo aureo: - individuiamo il punto medio P del alto AM del quadrato AMND - con centro in P e raggio PN tracciamo un arco di circonferenza che interseca in B il prolungamento del lato AM dalla parte di M. - tracciamo poi la perpendicolare BC ad AB e prolunghiamo il lato DN dalla parte di N Il rettangolo ABCD è il rettangolo aureo, nel quale AB è diviso dal punto M esattamente nella sezione aurea: AM : AB = MB : AM Dimostriamo anche questa proporzionalità. Se ABCD è un rettangolo aureo, si ha, per definizione, AB : AD = AD : (AB-AD) o anche, essendo AM = AD, AB : AM = AM : MB Se sul lato maggiore AB del rettangolo aureo ABCD, esternamente al rettangolo, si costruisce il quadrato AEFB, si ottiene un nuovo rettangolo aureo EFCD. Infatti, per la proprietà del comporre applicata alla prima proporzione (AB+AD) : AB = [AD + (AB-AD)] : AD ovvero, essendo AB = AE, DE : AB = AB : AD DE : AE = AE : AD e resta così dimostrato, essendo AE = EF , che il lato minore EF del nuovo rettangolo EFCD è la parte aurea del lato maggiore DE. Ripetendo più volte tale costruzione, si ottiene una successione di quadrati, ognuno dei quali ha il lato che è sezione aurea del lato del quadrato successivo. Costruendo in ogni quadrato un arco di circonferenza come indicato nella figura, si ottiene una curva detta spirale logaritmica o spirale aurea.

sabato 25 giugno 2011

La prima reflex 35 mm

Oskar Barnack è stato un tedesco ingegnere ottico , di precisione meccanica , è il padre del formato 35 millimetri in fotografia . Nel 1911, è stato responsabile della ricerca microscopio per Ernst Leitz a Wetzlar . Era un appassionato fotografo, ma l'attrezzatura pesante era per lui difficile da gestire. Nel 1912, ha costruito una macchina 35mm film. Tra il 1913 e il 1914 è stato responsabile dello sviluppo della telecamera società Leitz a Wetzlar , Assia , Germania . Nel 1916 Oscar Barnack terminò di progettare il primo prototipo della Leica ma, a causa della IIª guerra mondiale, solo nel 1923 la Leitz iniziò la fabricazione del modello finale che apparve sul mercato nel 1925. La storia ufficiale racconta che Barnack pensò di costruire una semplice macchina fotografica per determinare l'esatta sensibilità della pellicola cinematografica, dato che al tempo non c'era altro mezzo che sviluppare uno spezzone di pellicola esposta. Barnack usò il prototipo per molti anni, la qualità era decisamente buona e "la macchina di Barnack" fu apprezzata anche da Leitz. Ma Barnack ha cercato di ridurre le dimensioni e il peso delle macchine fotografiche ed attrezzature di sostegno utilizzatae per la fotografia all'aperto. Il suo design 35 millimetri contribuì ad introdurre il concetto di esporre una piccola area di pellicola per creare un negativo, poi allargando l'immagine in una camera oscura . L'inizio della prima guerra mondiale non ha permesso che la prima Leica venisse fabbricata, fino al 1924, e non è stato presentato al pubblico fino al 1925, quando il capo di Leica, l' ottico Ernst Leitz, ha autorizzato la produzione di 1.000 telecamere, e nel 1925, in occasione della Frühjahrsmesse, la Fiera di Primavera di Lipsia, viene presentato il primo apparecchio per riprese fotografiche realizzato dalla Leitz. Leica stava per Lei tz Ca mera. Al posto delle lastre di esposizione utilizzato in passato telecamere Leitz, Leica usata una striscia standardizzato film, adattato da 35 millimetri Edison roll-film, per riprese cinematografiche inserendola in un caricatore, per creare una nuova tipologia di macchine fotografiche, formato in seguito modificato dalla Kodak in funzione della produzione industriale e codificato nel 1934 come "135". L'apparecchio è la prìma Leica, modello 1, che fece la sua apparizione nel 1925, la prima versione regolarmente prodotta della Leica è facilmente riconoscibile dal caratteristico blocco all'infinito dell'obiettivo. L'ottica, fissa, può essere Anastigmat, Elmax o Elmar f 3,5 o un luminoso Hektor f 2,5. L'otturatore in stoffa sul piano focale è autocoprente durante il riarmo, dispone del blocco contro le doppie esposizioni e dei tempi da 1/20 a 1/500 oltre alla posa Z. Tuttavia sul primato della prima reflex sembra ci sia una polemica, perchè documenti sovietici anticipano ogni fonte tedesca. Il primato tedesco è stato sostenuto a lungo anche a causa della scarsità di informazioni disponibili dalla Russia nei lunghi anni della Guerra Fredda, durante i quali della Cnopm si conosceva a malapena l'esistenza. Del resto la vita della Cnopm fu di breve durata perchè la fabbrica fu prima riconvertita e poi distrutta nel corso della guerra. Non ci sono informazioni sul numero di fotocamere costruite né sul numero di quelle effettivamente giunte sul mercato, né, tantomeno, sul numero di quelle sopravvissute. Certamente la Cnopm non è mai giunta sui mercati occidentali prima della guerra, ed in seguito è rimasta un oggetto rarissimo e sconosciuto fino a quando la caduta del muro di Berlino, ha permesso una reale apertura delle frontiere

Teorie sul meccanismo della visione

LA TEORIA DELLE SCORZE Per la filosofia antica il senso della vista, come gli altri sensi, era fondato sul contatto che genera modificazione ed in tal senso Leucippo di Mileto ne era un significativo sostenitore, e nell'atomismo di Leucippo filosofo la Materia Fisica è costituita da elementi microscopici, indivisibili e impercettibili, qualificati da forma, disposizione e posizione, contenuti nello spazio infinito, considerato vuoto. Infatti egli riteneva che ogni percezione è tattile e che i nostri sensi non sono altro che varietà di tatto; non potendo la nostra psiche uscire dal corpo per toccare i corpi esterni, saranno questi stessi o le loro emissioni a muoversi verso di essa. Ogni sensazione presupponeva quindi un contatto di un qualcosa con l'organo di senso, si era ben lontani dal considerare azioni a distanza. Il problema risiedeva nel trovare un adeguato meccanismo di contatto per la vista. A tale proposito si osservava che, a differenza degli altri sensi in cui ogni percezione è singola, nella visione, nello stesso istante, si vede una miriade di corpi e colori con sorprendente dovizia di dettagli ed altrettanta precisione. Quindi “qualunque cosa vada dall’oggetto osservato all'osservatore, essa non può essere informe, ma deve portare con sé la forma ed il colore dell'oggetto, deve cioè essere simile all'oggetto, ma non l'oggetto stesso”. Fu ipotizzata allora l'esistenza delle scorze, specie di ombre che rivestono i corpi, le quali, staccandosi dai corpi, raggiungevano l’occhio, portando con sé ciò che la superficie dei corpi presentava all'occhio. Questa teoria aveva un vizio di fondo: l’impossibilità delle scorze dei corpi grandi di penetrare nella piccola pupilla, vizio che si cercò di risolvere, attribuendo alle scorze la proprietà di contrarsi man mano mentre si avvicinavano all'occhio, fino a diventare così piccole da entrare nella pupilla. Ci si chiedeva inoltre come l'occhio posto in posizioni diverse potesse vedere lo stesso oggetto: ciò implicava che le scorze partenti da una stessa posizione erano costrette a contrarsi in modo diverso a seconda dell’angolazione e della distanza dall'occhio. Altri problemi nascevano quando si considerava la distanza e le dimensioni del corpo emettitore delle scorze; infatti esse potevano anche fornire all’organo senziente (e quindi al cervello) informazioni circa il colore e la forma, ma non si spiegava in che maniera venivano trasmesse informazioni circa la distanza dell'oggetto e le sue dimensioni. Ancora più difficile era la spiegazione per quanto concerne la visione per mezzo di uno specchio. Qui ciò che si vedeva non era l’oggetto, ma la sua figura al di là, simmetrica dell'oggetto stesso. Anche se si fosse spiegato il fenomeno con le leggi della riflessione meccanica delle scorze, non si riusciva a spiegare come queste potessero assumere sembianze simmetriche rispetto al corpo che le aveva generate. Altre difficoltà nascevano quando si doveva spiegare perché il buio impediva la visione (e quindi l'emissione di scorze) o perché un corpo troppo vicino all'occhio appariva confuso. LA TEORIA DEI RAGGI VISUALI Non meno fantasiosa fu la teoria che vedeva come artefici della visione i cosiddetti raggi visuali. I suoi sostenitori erano molto numerosi con al seguito valenti e noti matematici. Questa teoria traeva spunto dalla constatazione che un cieco può rendersi conto della forma di un corpo anche senza toccarlo con le mani, ma semplicemente sondandolo con un bastone. E’ così che si teorizzò l’ipotesi che dall’occhio uscissero dei raggi simili a bastoni capaci di scrutare il mondo esterno e di fornire alla psiche gli elementi per il discernimento di forma e colore. Anche questa teoria si rivelò piena di difficoltà. Infatti non si riusciva a spiegare perché i raggi visuali non consentissero la visione al buio o la visione dei corpi molto vicini all'occhio, e perché, quando si riflettevano su uno specchio piano, facevano vedere le figure al di là dello specchio e non nella loro reale posizione. Inoltre ci si chiedeva come dei raggi emessi da un occhio potessero raggiungere corpi lontanissimi come quelli celesti.